31 luglio 2010

Paese che vai, Ilva che trovi

L'intervista che il vicepresidente del Gruppo industriale proprietario, fra le altre cosucce, dell'Ilva di Taranto, ha rilasciato al settimanale locale Wemag, è talmente epocale che potrebbe cambiare per sempre il volto di Taranto, o di Milano, o di entrambe città.
Fabio Riva è un uomo dal forte sospetto di toupè, eppure molto fiero in ogni occasione della sua folta cresta tricologica. L'immensa industriosità di quest'uomo e del gruppo - che porta il suo nome - che vice-rappresenta non ha pochi meriti. Uno dei principali, ad esempio, è quello di aver reso la popolazione suburbana, i bar finto milanesi e i negozi di abbigliamento femminile presenti in ogni città toccata da uno stabilimento Ilva, tutti identici fra loro. Tutti sovradimensionati rispetto alle esigenze dei mercati locali, e uguali. A partire dalle vetrine altissime e immensamente larghe, piene zeppe di manichini impunemente lontani dalla fisionomia locale, eppure fieri dei loro modelli di Balenciaga impossibili, costosissimi e, diciamocelo, anche un po' cafoncelli. Via D'Aquino ha delle sorelle sparse per tutta Italia, da Racconigi, a Novi Ligure, passando per Patrica, in provincia di Frosinone - forse la città Ilva meno pretenziosa, eppure comunque non scevra della sua buona dose di lounge di design, in cui consumare buffet alle 8 della sera, come se non si avesse altro che una caotica vita manageriale alle spalle. Sì, quello che accomuna tutte le orrende città italiane sede di stabilimenti Ilva è una cosa: la tendenza a una disperata, improbabile imitazione di Milano: chiunque abbia fatto almeno una passeggiata in almeno tre di questi luoghi lo sa perfettamente. E' qualcosa che rimane. Prendiamo l'esempio di Terni. Anche se da qualche tempo, grazie alle Acciaierie ThyssenKrupp, il centro umbro non è più dotato di Ilva, infatti, in certe sere d'estate, mentre un'allucinazione olfattiva suggerisce un profumo di cozze nere, un indebolimento momentaneo delle vista (dovuto certamente a qualche esalazione subita in fabbrica) sa restituire l'illusione che, dietro ogni angolo, possa esserci una Madunina a proteggere quegli operai elegantissimi, quasi sempre palestrati e lampadati. Ma questa è un'altra storia, e dovrà raccontarsi un'altra volta. Fatto sta che c'è un gemellaggio geneticamente modificato fra Taranto, Terni e queste città, dal punto di vista della moda e della ristorazione aperitivale, che non è secondo nemmeno al grande patrimonio comune di alterazioni reali dei tessuti organici e di chissà che altra aberrazione biologica condivisa, magari fornita dallo speciale tipo di inquinamento che solo un Ilva autentico può garantire alle popolazioni.
E' alla luce di questa realtà, se ci perdonate il lungo preambolo, che l'intervista di cui parliamo, che comparirà oggi nelle edicole tarantine, acquista il suo valore tutto particolare. Fabio Riva, milanese, ha rilasciato a Wemag una dichiarazione shock, dopo la quale nulla sarà più lo stesso. "Si sta peggio a Milano, dove io vivo, che è molto più inquinata di Taranto". Ora, come dicevamo, nulla sarà più lo stesso. Perso quel modello, Taranto potrebbe addirittura decidere di somigliare a Brindisi.

23 luglio 2010

La cameretta da letto dei giovani politici leccesi

All'indomani del disvelamento della rosa a 13 della nuova Giunta Comunale, i "senatori" della politica salentina non cessano un istante il loro dibattito sul destino di Palazzo Carafa. Sono 3 i filoni principali di discussione: "dove andremo a finire", "non sanno con chi hanno a che fare", "non sanno chi sono io". Il dibattito è portato avanti con mezzi tradizionali, perlopiù su carta stampata, televisioni locali, sit-in di protesta o semplici urla domestiche. Il virgolettato intorno alla parola "senatori" ci sta tutto, se non altro perché, per quanto anziani, non sempre le ambizioni elettorali hanno arriso ai più saggi attori della scena politica salentina; e non tanto perché questo non sia un paese per vecchi, ma più che altro perché non è un Parlamento per meritocratici. Eppure, altamente noncuranti di tante rispettabili, seppure tremanti dita puntate contro di loro, i giovani protagonisti futuro della politica nostrana fanno buon viso a cattivo gioco, e si godono il loro momento di rinnovata gloria nel modo che è loro più naturale, oltre che quello meno intercettabile dagli anziani: si presciano su Facebook.
Per molti dei nostri politici giovani, infatti, un profilo personale su Facebook è come la cameretta di un bambino: sono tutti sporchi (messaggi ovunque; inviti agli eventi più imbarazzanti, nelle location meno esclusive; allusioni a bagordi da parte di incauti contatti, sono all'ordine del giorno), sono illusoriamente privati (la maggior parte dei profili non necessita che l'utente che li consulta sia "amico" del consigliere o dell'assessore in questione, tutto è alla mercè di chi sappia effettuare una semplice ricerca per cognome o nome d'infamia) e, soprattutto, sono il territorio di uno sfogo personale
Il fatto è che, come gli adolescenti non sanno che ogni loro più intimo segreto consegnato ai cassetti della loro camera da letto è poi quotidianamente soppesato da madri e colf, così i nostri politici giovani sembrano ignorare che, di Facebook e affini, molti over-sessanta ne sanno molto più di loro. Ma questa è un'altra storia. Il simbolo di questa protesta tecnologica e generazionale diventi fin da subito la foto del profilo del compassato, serioso e antipaticissimo Attilio Monosi, colto con un calice di vino, la mano alzata in gesto di sfida, e lo sguardo perso nel vuoto di una innaturale sregolatezza. La tipica sregolatezza di chi non è abituato a esserlo. C'è anche un'altra cosa a cui, evidentemente, Attilio non deve essere avvezzo, ed è l'ironia. Lo status che campeggia in queste ore sul suo profilo vorrebbe essere dei più perfidi, ma non riesce a far altro che a suscitare la reazione di un suo contatto che, non comprendendolo, non sa fare di meglio che commentare un generico: "Daje Attilione!". Perché, speriamo, c'era un tentativo di ironia, nell'annunciare la sua solidarietà a Carlo Salvemini, in merito alla protesta del consigliere contro la nuova Giunta, e a proporre la ricerca per un simbolo della coalizione "I PD". Per inciso, anche Salvemini aveva affidato proprio a Facebook, poche ore prima, il suo grido di dolore, isolato anche dal suo centronistra stesso: "La colpa è anche dell'Adriana".
Chi invece, gongola e basta, è Massimo Alfarano, il neo-assessore alla Cultura. Sua la bacheca virtuale più affollata di complimenti e notifiche di giubilo, da parte anche della più insospettabile intellighenzia leccese. Fra cui non possiamo non rammentare "Francesco di Tondo Moto Yamaha Lecce".

15 luglio 2010

Renzo Bossi: Trota e Sborone Rampante

Renzo Bossi, classe 1988, detto familiarmente "Trota" (l'epiteto lo si deve a suo padre Umberto, che il leader della Lega Nord preferisce a "delfino", quando si tratta di indicare il suo successore) è il terzo esperimento di generazione di esseri umani a partire dalla mitologica unione di un leghista e una siciliana (nella fattispecie, Manuela Marrone), dopo i fratelli maggiori Eridano Sirio e Roberto Libertà.
A differenza dei suddetti fratelli, Renzo presenta una serie di prerogative niente male, a partire naturalmente dal fatto di non essere dotato di un secondo nome sospetto o imbarazzante. Renzo è famoso in tutto il paese dai tempi della terza volta alla terza liceo: nessuno fra i figli riconosciuti di alcun esponente politico del centrodestra italiano - nemmeno lo spaventoso Geronimo Larussa - presentava la metà delle chance del nostro Renzo di assurgere ad icona demenziale ma pericolosissima del neo-nepotismo made in Pdl. Demenziale perché è un demente. Pericolosissima, perché, nella sua persona, la Lega diviene di fatto un altro meridione, spogliato anche dell'ultimo suo mito - più o meno legittimo - di efficienza e di lontananza dalle logiche della politica romanocentrica o siculocentrica. Ma è ovvio che la Lega parlasse di rivoluzione dell'immobilismo clientelare di Roma, quando ancora non ne era protagonista.
Renzo, comunque, è noto anche per una provocazione da "Sborone rampante", oltre che per la sua proverbiale ignoranza. Come il protagonista del romanzo di Calvino aveva deciso di non scendere più dagli alberi, Renzo ha deciso di non scendere più a Sud di Roma. Ora, un intraprendente sindaco pugliese, quello di Castellana Grotte, ha deciso di provare a cambiare per sempre il corso della storia. Franco Tricase, con l'aggravante-merito di essere stato eletto in una lista pidiellina, ha preso carta e penna e ha scritto al neo, eletto consigliere regionale della Lombardia. "Caro Renzo, vieni a visitare le Grotte di Castellana. Fai pace con il Sud, sono certo che ti piacerà".  Franco mette davvero di tutto sul piatto: dalla kermesse enogastronomica dal 17 al 25 luglio, fino alla comicità dei protagonisti di trasmissioni accessibili a Renzo, come Zelig e Colorado Cafè, che saranno presenti a Castellana nelle date clou della stagione estiva.
Solo una promessa non è stata neanche sfiorata: quella relativa alla bellezza delle pugliesi che, forse, avrebbe potuto fare la differenza. Avere avuto una donna in comune e in contemporanea con Mario Balotelli dell'Inter, infatti, non sembra trattenere Trota dallo sfruttare ancora il suo charme ittico con qualunque donzella lombarda gli capiti a tiro. Che sia giunto il momento di colonizzare?

9 luglio 2010

Perché ci piace Giovanni Pellegrino

In edicola su 20 Centesimi

Giovanni Pellegrino - il senatore della Repubblica; il Presidente di Commissione Stragi; il dotto amministrativista; il delizioso cronista di giudiziaria che trapela nella sua pubblicistica ("Il Processo Andreotti. Palermo chiama Roma" su tutti i suoi libri); insomma, questo singolo uomo le cui molteplici carriere basterebbero a dare dignità e sostentamento a generazioni di padri e figli e nipoti di altri nostri politici locali, ci piace per una serie di motivi. I quali sono troppi per essere elencati in questa rubrica. Faremo qualche esempio, però. Ci piace perché, in un mondo di salutisti o, peggio, di fumatori di sigarette, lui fuma la pipa. E la fuma incessantemente. Anche quando non sembra, perché è al chiuso o perché lo fa pianissimo, senza emettere fumo, lui pipa in barba a chiunque. Oppure, ci piace perché parla con accento forte di cose legislativamente, umanamente, culturalmente delicatissime.

Ma per una cosa, Pellegrino, ci piace soprattutto: e ci duole ammetterlo perché la cosa potrebbe sembrare valagloriosa o egotica. In realtà, la cosa ci tocca più perché siamo amanti delle diversità che della vanteria pura e semplice (anche se, in casi come questo, un po' ci vuole). Ci piace Pellegrino perché (lo ha detto volto su schermo, durante la scorsa puntata di "Open" su TeleRama) in cima alla sua pila di giornali di ogni mattina, pare che ci siamo noi. Se solo non si portasse così bene quegli anni che ha, ecco, Pellegrino sarebbe come un nonno collettivo della nostra città; di quelli buoni ma colti, niente affatto semplici eppure sempre miracolosamente compresi.

6 luglio 2010

Diego Fusaro, il meno marziano dei marxiani

In edicola con 20 Centesimi.

Mentre percorriamo la strada che ci separa da Leuca a Santa Cesarea, quello che argomenta sulla superiorità del personaggio di Ugo Fantozzi su ogni altra figura del cinema italiano - adagiato sul sedile davanti, felicemente scottato dal sole della lunga mattinata trascorsa al mare - tutto può sembrarci meno che uno dei massimi interpreti del pensiero di Karl Marx che l'Italia di oggi conosca. Per inciso: è il più giovane (a 20 anni la sua prima traduzione dal tedesco; a 26 il suo ultimo libro, "Bentornato Marx - Rinascita di un pensiero rivoluzionario", nelle librerie per Bompiani); e il più brillante (nessuno strega gli uditori come lui, grazie alla sua parlata rilassante e fiduciosa, tipica del compagno di classe che ne sa talmente tanto da non suggerirvi, rispiegarvi la lezione mentre la prof non guarda (non a caso, una generazione di studenti di filosofia si sta formando sui riassunti che si trovano sul suo blog, Filosofico.net).

Insomma, per rendervi conto di chi sia davvero il torinese Diego Fusaro pensate che, nella sola Casarano, nell'assolato pomeriggio di un 2 luglio salentino, è riuscito a raccogliere più di cento persone intorno a Marx, complice il suo grande amico e collega studioso (vaniniano e ugentino) Mario Carparelli. Un altro dato: alla presentazione di "Bentornato Marx" che si è svolta a Lecce, alla Libreria Gutenberg, gli spazi erano più ridotti che a Casarano, ma in prima fila c'era un certo Alberto Maritati. Il senatore era lì senza invito, colmo di curiosità per un siffatto supereoe della comunicazione marxiana. Quando si è reso conto che il dibattito intorno al libro sarebbe durato troppo a lungo per i suoi impegni, Maritati - carta e penna alla mano - ha segnato l'indirizzo di posta elettronica di Fusaro, per porgergli "tre domande", in differita. Invitiamo fin d'ora il senatore Maritati a farci sapere di che si tratta.


Niente di tutto questo era visibile in superficie mentre Diego si scatenava sulla piste del Malè. Resterà agli annali della cronaca mondana salentina (se ce n'è ancora una) la frase con cui si è presentato, appena entrato in discoteca: "Non sono mai stato prima d'ora in una proprietà privè". Ma, d'altronde se è vero quello che dice Lucio Dalla in suo famoso adagio ("l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale") è vero anche che la rivoluzione si può fare anche così, in bermuda e sana voglia di divertirsi. Perché Marx - applicato alla vita quotidiana senza preconcetti e anacronistici "ismi" - può essere davvero un compagno di avventure tutt'altro che noioso. Parola del sorriso della fidanzata di Diego, Claudia, che lo ha accompagnato nella sua full-immersion nella subcultura estiva salentina. Da cui Diego è uscito molto colpito dalla giovialità dei nostri compatrioti ("I rapporti da voi sono molto più profondi che al Nord, dove se ti senti male, in mezzo a una strada, ci resti lì secco") e ammirato dalla quantità di eventi e di iniziative che vi si svolgono, anche in estate (in realtà, ci sarebbe da appuntare che, perlopiù, si svolgono solo in estate).


Se c'è anche una remota possibilità che Diego Fusaro possa tornare in Salento per restarci (è un sogno che Mario Carparelli accarezza da quando ha in mente una scuola per traduttori filosofici, una vera e propria accademia dei paroloni addomesticati), sono convinto che sarebbe un primo passo per trasformare Lecce. Marcello Veneziani disse che basterebbero 1000 giovani di talento trapiantati in Puglia, per cambiarla per sempre. Ecco, se quei giovani fossero solo 10, uno di loro dovrebbe essere Diego.


Parafrasando un po' Oscar Wilde, che all'imbarco per l'America non ebbe nulla da dichiarare, a parte il suo genio, mentre Diego fa check-in per lasciare il mare della Puglia e ritrovare quello della Liguria e della sua infanzia (l'uno, un po' troppo lontano, per i nostri gusti, e la seconda un po' troppo vicina, per quelli dei suoi contestatori - si badi bene - tutti a sinistra), il suo amico Carparelli lo saluta con una giusta raccomandazione: "Occhio ai controlli, il pensiero è dinamite". In un altro gioco di parole: non avevo mai visto un marxiano - anche nel cuore del Salento, persino nel luglio 2010 - sembrare così poco un marziano.

3 luglio 2010

Perché la Notte della Taranta sarà un successo

In edicola con 20 Centesimi

Il programma della Notte della Taranta 2010 (dal 13 al 26 agosto col suo Festival itinerante, e il "concertone" finale previsto a Melpignano per il 28) per come appare al primo sguardo, è come un po' incoscientemente noncurante dell'aria di decadenza che investe anche le locandine delle manifestazioni più allegre o tradizionali dell'estate salentina. Tira fuori i nomi che è riuscito ad attrarre orgoglioso e sprezzante della difficoltà come un giovane elenca le belle cose che è riuscito a comprare col suo primo, vero stipendio, tutto da solo: Ludovico Einaudi (maestro concertatore del concertone); Dulce Pontes (voce globale, ma che ha stregato il mondo a partire da una sua tradizone locale, il fado portoghese); Mercan Dede e Sabina Yannatou (che stanno scrivendo i capitoli più recenti della storia della world music, rispettivamente turca e greca); e i Sud Sound System, della cui presenza non dobbiamo gioire meno solo perché abitano più vicino a casa nostra di tutti gli altri, anche perché non sono meno contesi di qualunque fuoriclasse della fusion fra mondi lontani e "radici ca teni" nelle rassegne musicali estive di tutta Italia e oltre.
Insomma, prodigio o efficienza, è come se una sorta di schermo protettivo fosse teso sulla prodigiosa capacità degli organizzatori della "Notte" (a partire dal Presidente della Fondazione Notte della Taranta Sergio Blasi, al suo successore nel ruolo di Sindaco di Melpignano Ivan Stomeo e al direttore artistico della manifestazione Sergio Torsello). E' un anno difficile per il tempo libero.  

Anche la tre giorni leccese di festeggiamenti per la Santità di Oronzo Martire - nonostante gli sforzi dell'Assessore Attilio Monosi, vero patrono del Patrono, per farla finanziare - arranca, dovendo contare solo sulle sue forze più spirituali (sebben non ci soli santini viva il devoto). Perfino la ormai storica "Notte Bianca" di Lecce è andata in onda ieri sera avvolta in un velo di tristezza: vuoi perché presentava il programma più povero e sconfortante di sempre, vuoi perché troppo dispersiva, vuoi perché forzata a esaltare le caratteristiche di aggregazione di un centro storico già di per sè saturo di divertimento notturni - tutti fittizi e, bene che vada, bordeline dal punto di vista della legalità.

I più crudeli diranno che, più che una benedizione da parte di qualche divinità semi-pagana di pizzicata memoria, la vera fortuna del Festival di Sergio Blasi sia non essere vittima anch'essa (se non altro per motivi di competenza territoriale) della maledizione che pare aleggiare su tutto quanto, invece, sia voluto o promosso dal Comune di Lecce, guidato da Paolo Perrone. Non a caso, la grande sinergia con la vice-presidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Lecce, Simona Manca (dunque, una sinergia trasversale, al di lù degli schieramenti) non è una delle ultime ragioni plausibili di questo spiegamento di forze artistiche.
Invece, ecco che la "Notte della Taranta" fa il suo ritorno nell'anno 2010 forte della sua classica mistura di estemporaneità e di struttura; di leggerezza e organizzazione; di Salento e di Regione: vivace come alla prima edizione, ma ricca come se fosse - com'è, del resto - alla sua tredicesima volta. Sì, pare proprio che questo evento tribal-istituzionale, per via del mix unico che ne è la ragion d'essere - e che è ormai una delle sue caratteristiche più difficilmente imitabili altrove - sia l'unico appuntamento di questa estate a non essere toccato dalla crisi.

Il quale mix, del resto, sembra sempre più poter assurgere a simbolo del Salento che funziona, almeno culturalmente - e, di conseguenza, almeno in parte, turisticamente. Una volta che la musica comincia, sul palco di Melpignano, è sempre come se tutto quello che ci si vede e ci si sente fosse frutto della più ispirata delle improvvisazioni: ma fino a un attimo prima della prima fuoriuscita di decibel dagli amplificatori, e a partire da un attimo dopo il primo riposo delle trombe, fra un pezzo e l'altro, tutto è stato voluto, studiato e provato a menadito.

E' tutta qui la chiave del suo successo, che punta ad essere riconfermato anche questa estate: la Notte della Taranta è come una grande ragazzina di paese (non a caso è una ancora giovane, e non potrebbe svolgersi altrove che in un piccolo centro), ma colta ogni anno nell'atto di diventare adulta. Con la stessa ciclicità con cui una vera pizzicata d'altri tempi sperava di guarire: annuale. Solo, adulta ma non troppo: già solenne nella sua peccaminosa bramosia di percussioni e di galloni di birra (non importa quale marca, non conta a che temperatura, nella mani di appassionati che però conoscono vita, morte e concerti di ciascun polistrumentista turco che sta rapendo loro il cuore), e ancora fanciullesca nel modo pudico ma beato con cui guarda al suo successo.

2 luglio 2010

Quanto è fico Caravaggio a Lecce

Hanno davvero rasentato la commozione in più momenti la presentazione e l'inaugurazione della mostra di Caravaggio a San Francesco della Scarpa. Perfino i tanti poliziotti di stanza fra le colonne dei propilei dell'ex Convitto Palmieri sembravano essere pronti, da un momento dall'altro, a suonare le sirene delle volanti a festa, tali erano la compostezza, l'interesse, la vera e proprio gioia orgogliosa con cui centinaia di semplici cittadini - unitamente a svariate dozzine di torte di Alvino - facevano il loro lento ingresso nella struttura dell'ex convento. Evidentemente, l'organizzazione di questa specialissima mostra, su un tema peraltro lontano dalla sensibilità e dalla curiosità popolare - come non può che essere l'enigma rappresentato dall'autenticità del  "doppio" San Francesco in meditazione, dilemma storico-artistico destinato a difficile, se non impossibile, soluzione - mette in risalto, anche nelle più profonde, attuali province dell'impero culturale che fu del nostro paese, il grado e la qualifica di "stella" dell'arte che è divenuto Michelangelo Merisi da Caravaggio. Nei volti dei giovani rubati all'aperitivo, delle rigide professoressine strappate per una soirèe ai morsi della coscienza da docente di liceo sotto esame, perfino nelle stesse espressioni sinceramente compiaciute di ciascuna delle cosiddette autorità presenti (e primo fra tutti il cattolicissimo Alfredo Mantovano in persona, "prestatore", per conto del Ministero dell'Interno, di cui è sottosegretario e che è proprietario delle due opere esposte), tutto significava semplicemente pura gioia mista a sorpresa. E mista anche un poco a quel tipico divertimento - quasi infantilesco - che si prova nel riconoscere inaspettatamente in una piazza della propria piccola cittadina un divo del cinema in trasferta. Anche i più insospettabili - vale a dire i veri esperti o presunti tali - non potevano fare a meno di questa espressione beata. Nessun altro artista del presente o del passato riesce a dare questo effetto, tanto più strabiliante quando si pensa a come Caravaggio, non piú di un secolo fa, fosse quasi ignorato dalle masse.
I due San Francesco, perfettamente illuminati e ben corredati di un impianto didattico che li accompagnerà per tutta l'estate, sono posti nelle prime due cappelle a destra e a sinistra della Chiesa conventuale, separati solo da qualche metro e dallo stupore del pubblico, dopo secoli di separazione (seppure, solo di qualche decina di chilometri). Che siate a digiuno di realismo seicentesco - e facciate più caso al "trova le differenze che ad altro (le principali sono i maggiori buchi "pauperistici" sul saio di destra, nella versione di Santa Maria della Concezione) - o che siate fra gli eletti che si pongano più che altro il problema della prospettiva del piccolo crocifisso in basso, in entrambe le tavole, o quello di farsi riconoscere da Mantovano - tornate a San Francesco anche in altre sere di questa estate, magari meno affollate di quella di ieri, per non pensate ad altro che a quanto è fico avere Caravaggio a Lecce. Liberi da ogni turbamento.

1 luglio 2010

30-6-2010

E' proprio vero che a volte gli arresti domiciliari possono essere più duri del carcere, secondo la moglie o la famiglia che vi ritrovate. L'ennesima conferma del fenomeno in questione viene dal tentativo di evasione - da casa sua - di Quintino Pindinello. Il quale, non a caso, era stato costretto ai domiciliari proprio a causa di un diverbio familiare, sfociato poi in un colpo di catena ai danni del figlio. I Carabinieri di Racale lo hanno nuovamente arrestato ieri mattina, mentre si allontanava da casa, finalmente libero, ma solo per poco. Resta da fare una seria riflessione sulla concessione dei domiciliari in casi come questo, a meno che i giudici non siano particolarmente in vena di contrappassi danteschi.

Con l'estate, torna il consueto aumento di qualità dei calzoni fritti di Pizza Mania, nel cuore di Galatina (piazza Dante Alighieri, a proposito di Inferno). Effettivamente, nel corso della lunga invernata, la presenza del sosia di Sean Connery che gestisce questa fantastica rosticceria si fa più rara, e di conseguenza il controllo rifrittura di alcuni articoli, nonché il ricambio degli stessi, lascia un po' a desiderare. Soprattutto nei giorni infrasettimanali. Ma ecco che la bella stagione riapre le danze dei migliori calzoni e del miglior pollo fritto pret-à-manger del Salento. Unica raccomandazione: col caldo, oltre alla qualità, aumenta anche la fila, che deve purtroppo ricorrere ai proverbiali "numeretti" da salumeria. Per non incorrere in metà della popolazione di Galatina, Noha e Collepasso che preme contro i vetri del bancone, oltre che sulla vostra signora, non presentatevi molto dopo le 8.

Ne capisco troppo poco di calcio per non gioire alla notizia che sarà finalmente Pierandrea Semeraro - il figlio fino ad ora più "panchinaro" del patron Giovanni, almeno dal punto di vista squisitamente calcistico - a prendere le redini dell'Unione Sportiva Lecce. Pierandrea prende il posto di suo padre dopo quattro anni di gestione, che hanno portato due volte il Lecce in serie A, ma hanno anche ridotto in cattivo arnese le casse della squadra. Dal trentasettene Pierandrea ci si aspetta un management all'insegna di una certa austerity.

Grande giornata di nomine per la curia di Lecce: ben quattro parroci nuovi di zecca sono stati nominati da Monsignor Domenico D'Ambrosio, che è già pubblicamente indicato come "l'Arcivescovo buono". Ecco la lista del rinnovamento: alla Cattedrale di Lecce esce monsignor Franco Leone, entra don Trifone Antonio Bruno; a San Francesco d’Assisi a Lecce entra don Elvino De Magistris; a Surbo, a Santa Maria del Popolo, arriva don Fernando Capone; a San Gregorio Nazianzeno di Acquarica di Lecce e Santa Maria della Neve in Acaya prende posto don Salvatore Scardino.

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