26 novembre 2010

In diretta dalla Città del Libro

La Città del Libro 2010 è ufficialmente aperta intorno a noi. Una cerimonia alle 18 abbondanti, condotta dal quel conduttore di Tele Rama di nome Marco, che ha una voce da strillone dell'etere, l'ha aperta urlando - come per un show di varietà d'altri tempi - i primi ospiti politici presenti: Capone, Gabellone, Manca, Perrone, Palese. Per un caso da fortuito a felice, siamo gentilmenti ospitati dallo stand del nostro stampatore Martano: non c'è scrivania più libera e comoda di quella che ci indica, fra il bar e la nicchia di Tele Rama, questa mano amica. Vasco Rossi direbbe: "Piccolo spazio pubblicità". Il quale Martano, come ogni anno, propone una piccola esposizione di strumenti di lavoro d'epoca. Abituati come siamo agli aggeggi in pietra vanto delle varie case vinicole, vedere esposto un computer Macintosh della prima ora, sotto una teca di vetro, allieta il nostro portatile Apple come se fosse una macchina da corsa in un film della Pixar, che riconosce sua madre in una 500 perfettamente conservata. Battiamo insomma il nostro pezzo più a nostro agio che posando il MacBook sulle sole gambe, ma sempre ocn un certo imbarazzo, non sapendo se possiamo o meno attingere dalla macchina del caffè disponibile su un mobiletto, bypassando il costoso bar fieristico.
Il nostro intento sarebbe quello di raccontarvi, per filo e per segno, cosa succede intorno a noi, come in una versione in differita e su carta stampata del cosiddetto Live Tweeting, tanto mediaticamente sbandierato da SalentoWebTv, media partner della Fiera campiota. Che scemo di Campi non essendo, giustamente, ha affidato a una personalità d'eccezione tale Live Tweeting. Qui su 20 Centesimi lo faremo per i 4 giorni della Fiera, quindi non preoccupatevi se oggi ci limitiamo a un po' di "highlights". Non che non siamo stati impressionati positivamente dalla risposta pronta che ha avuto Rocco Palese, quando gli hanno chiesto che libro avrebbe consigliato a Nichi Vendola ("Qualunque libro sul Papa", è stata la risposta). Oppure, non che non ci faccia sempre tenerezza vedere Antonio Gabellone con la fascia da Presidente della Provincia. Fa tanto principe azzurro della politica locale. Anche quando parla da quella specie di nicchietta, scavata a mani nude da due cameramen di Tele Rama, giusto qualche ora fa.

Imprescindibili sono due grossi "bravo", però, che vanno urlati adesso, nel fare un bilancio della prima giornata, prima che chicche come queste possano essere sommerse dalle standing ovation che riceverà probabilmente una personalità del calibro di Raffaele Fitto (che parlerà oggi alle 17.00). O quella di Fini sabato pomeriggio. Il primo dei bravo è rivolto all'artista Cosimo Brunetti da Spoleto, autore del logo che accompagna il motto dell'edizione 2010 della Città del Libro: "Eroi di carta". E' una commovente rivisitazione del tema - eterno - del don Chisciotte, tanto bella da aver vinto il Concorso Logo Città del Libro 2010, con chissà che razza di giuria (con tutto il rispetto). Delicatissimo il modo che ha il logo di realizzare un personaggio dalla mente irrimediabilmente compromessa dall'amore per la letteratura, sottoforma di origami di carta. Ci piace pensare che almeno sia la carta di un romanzo d'epica cavalleresca.

Il secondo bravo è per l'immenso Franco Petrachi, "creative director" del progetto editoriale più ambizioso fra tutti quelli che potranno mai essere presentati a una Fiera del libro locale (e infatti ancora non è stato presentato, essendo un work in progress che si manifesta, qua e là per gli stand, sotto forma di piccoli totem informativi tutti da scoprire, o da condonare, quando non vengono tristemente demoliti e poi riassemblati altrove, per via dell'intervento di qualche addetto alla sicurezza). Il progetto - intitolato "The Best Salento's Factories and Professionals - Le storie sorprendenti dei migliori salentini" è per ora un librone dalla copertina stracarica di foto e di slogan, ma dalle pagine ancora simbolicamente bianche. Franco sta svolgendo la selezione dei protagonisti in giro per la sua terra: "su Lecce, Brindisi e Taranto". Mentre chiudiamo questo pezzo entusiasti di tanta bellezza editoriale, un bel vice-direttore del TG5 beve un prosecchino alla nostra scrivania. Tutto questo accade alla Città del Libro 2010.

20 novembre 2010

Puglia Ribelle al gran completo

In edicola con 20Centesimi

Ieri è inaugurata una mostra fotografica che tutti i giovani di sinistra di Lecce dovrebbero vedere, se non l'hanno già vista e rivista negli scatoloni dei ricordi dei loro padri o dei loro nonni, a secondo di cosa intendiate per "giovani" e "di sinistra", naturalmente. La mostra - proposta dalle Officine Culturali Ergot di Piazzetta Falconieri - si chiama "Puglia Ribelle" e celebra in fotografie d'epoca i 40 anni dalla nascita del Circolo Lenin di Ceglie Messapica, momento cardine della formazione e della successiva scesa in campo (quando scendere in campo poteva significare anche manifestare per strada) dei ragazzi e delle ragazze che hanno fatto la storia del post-comunismo pugliese e salentino.
E' grande il piacere di rilassarsi leggendo le ricche didascalia della mostra, una volta realizzato chiaramente che, a differenza di tante occasioni di autorappresentazione post-comunistica dei giovani d'oggi (magari al vicino Zei), in cui l'ansia da prestazione di non apparire abbastanza compagno o dirigente è effettivamente tanta, da Ergot si può essere se stessi - qualunque cosa si sia o si sia stati. In altre parole, c'è forte tolleranza nei confronti del diversamente compagno. Certo, essere stato un piccolo grande vecchio delle lotte operaie o bracciantili locali, magari riconoscibile in almeno un paio di foto esposte, aiuta eccome, a sistemarsi in un bel posticino d'onore nella considerazione dell'austero cassiere, che parla ininterrottamente con un uomo dal cappello strano. Eppure, fra gli scaffali ben forniti di stampa alternativa o solo non vendibile, non troviamo solo titoli come il pur attraente "Introduzione alla Bioarchitettura Feng-Shui" ("con interviste esclusive a bioarchitetti"), ma anche mercanzia decisamente più commerciabile, come ad esempio un fumetto ispirato alla biografia del grande Rino Gaetano, che non avevamo visto in nessun altra libreria delle nostre parti. Non mancano, anzi, neppure voci di catalogo-anatema, che farebbero rivoltare nell'Eskimo qualunque membro del Circolo Lenin di Ceglie Messapica degno di questo nome, come l'impronunciabile ad alta voce - eppure candidameste esposto su un tavolino - "Il mondo di Coco Chanel" di Karen Karbo, che ci domandiamo come possa essere finito qui, mentre dalla cassa ci guardano malissimo, come essendosi accorti di cosa stiamo guardando, e come se tutto non fosse altro che un tremendo trabocchetto per sgamare al volo, fra i convenuti non strettamente habitué di questo spazio, chi ci è e chi ci fa. Alcuni, magari anche comunisti a due pugni alzati (come nell'indimenticabile Mario Brega di un film di Verdone), cercano pertanto di nascondere il più possibile una moglie collusa coi padroni, mentre lei posa il cappotto di cashmere su un porta abiti messo a disposizione dall'Ergot, già sospetto di per sé.
E' stata una bella inaugurazione, ieri. Forse pochi giovani fuori, ma in compenso era delizioso osservare la stratificazione di tutti questi ricordi nelle parole e nelle impressioni che i figli e i nipoti dei protagonisti di questa stagione di lotta politica non possono fare a meno di scambiarsi, mentre  Si guarda una foto, si degusta un bicchiere di plastica, e ci si consola fra i ricordi di ribellione altrui, la vera ribellione che non torna, come non ne fanno più: le ribellioni che si dovrebbero clonare. Non si deve mai rispondere con lo sguardo - o con l'ostensione di alcuna reliquia anni '70 riadattata dalla sartina di fiducia - a qualcuno che ti squadra apertamente, con la faccia di uno che non voglia dire altro che: "Io sono più leninista di te". Piuttosto, strappa un sorriso l'incoscienza della bambina dalla pelle olivastra, che non ha alcun dubbio sul fatto che il suo nonno preferito - bellissimo, giovanissimo nella foto del quarto o quinto pannello - fosse più trotskista del tuo. Ma non te lo fa pesare e, anzi, ti chiede con dolcezza se il tuo, di nonno, non sia per caso quello che regge il megafono due pannelli più in là. Ironia della sorte, tuo nonno nel '71 era a giocare duro in qualche casinò municipale. Quindi, alla domanda, con un sorriso di circostanza stiamo zitti, e voi non dite niente al Gianni Turrisi in carne e baffi, che vi guarda bello come solo un giovane comunista vi sa guardare da una foto del '69 in bianco e nero fuori, ma con abbastanza colore dentro da riempire due o tre tavolozze dei ricordi. Fra tante emozioni, tenta di riportarci sulla terra il commento continuo - quasi una traccia audio extra di un dvd della memoria, come quelle che incidono i grandi registi dopo una rimasterizzazione di qualche loro capolavoro - di un addetto ai lavori del tempo che fu, che passeggia come noi fra le fotografie. Uno che, delle vicende rappresentate, vorrebbe mostrare di saperne più di tutti i presenti sotto i quarant'anni messi insieme: "Quista è l'unica manifestazione in cui c'eravamo tutti".

12 novembre 2010

L'esercito delle pornononne

In edicola con 20Centesimi

Sono a dir poco bizzarre le riflessioni che ci fanno venire in mente occasioni come il Convegno del Sindacato Pensionati della Cgil di Lecce, che si svolge oggi alle 9.30, alla presenza di un pubblico sceltissimo, sempre più raro di questi tempi: una platea di vere persone anziane autocertificate,
Non è colpa nostra se siamo a nostra volta vecchi abbastanza da aver avuto dei nonni veri, di quelli che viziano e che, all'occorrenza, quasi proteggono i nipoti dalla gioventù stessa dei loro genitori. Non è però colpa nostra neanche se siamo ancora abbastanza giovani da poter osservare con sguardo smaliziato la realtà neo-anziana che ci sta attorno. Staremo alle Cantelmo col cuore in mano, suggendo dalle labbra dei rappresentanti di quell'esercito sommerso (33mila pensionati iscritti solo nella Provincia di Lecce) tutta la speranza che nel 2010 ci possano essere ancora dei nonni, con dei problemi da nonni e, soprattutto, delle risoluzioni nonnesche di problemi da nonni.

Dei nonni, e non dei secondi genitori che, invece che viziare i nipoti come giustamente ha fatto qualunque generazione addietro, per secoli, li sgrida quando chiedono un gelato di troppo, per strada, in modo da allontanare il più accuratamente possibile il sospetto, nei passanti, che l'infante in questione possa essere generazionalmente altro rispetto a un loro figlio tardivo, venuto fuori in corner o per opera di uno spirito santo conosciuto al corso di tango.
Se oggi il giovane Holden fosse ancora giovane come lo era quella volta davanti al suo famoso specchio d'acqua newyorkese, sono certo che avrebbe ben altro tenore, o almeno un oggetto diverso, la sua domanda epocale ("Dove volano le anatre quando lo stagno di Central Park è gelato?"). Senza considerare gli stravolgimenti climatici che sono intercorsi nel frattempo - e le relative evoluzioni di specie degli uccelli acquatici conosciuti - la domanda che sorge più spontanea suona più o meno come: "Dove vanno le donne quando invecchiano?".


Non c'è più bisogno ormai di aver fatto le scuole a Manhattan per realizzare che la razza umana più pericolosamente a rischio d'estinzione non sono affatto le ragazze serie (come tutta una tradizione musicale pessimistica vorrebbe farci credere, da Marco Masini in poi); né tantomeno i fruttivendoli onesti (che sono già belli che andati, insieme con le fragole che sapevano di fragola); bensì un'altra: le vecchie di fatto. Per rendersene conto, basti fare un giro nel reparto cosmesi del Coin di piazza Mazzini a Lecce, o come diavolo si ostina a chiamare la "Standa" qualche responsabile marketing troppo fresco di master. Non più trentacinquenni bon ton che si atteggiano a signore con finta Chanel; non più cinquantenni fiere del loro primo taglio di capelli corto da anni, finalmente da donna piena e matura; e neanche una delle infinite sfumature e sottigliezze fra questi due poli. Solo una generazione monoblocco di diversamente giovani arranca fra gli scaffali, e guai a consigliare loro una sola crema per le rughe: ci pensano fratello botulino, e sorella Revitalift a pensare alle loro piccole imperfezioni della pelle. Tutto che vogliono è solo un profumo nuovo e una gonna al ginocchio, ma da infarto.
E' come se forse uguali e opposte trascinassero quei corpi e quelli delle loro nipotine più cresciutelle per le botteghe Intimissimi di mezza provincia, con un solo scopo: unire aspiranti veline e velone in una sola orrorifica fascia d'età indefinita, in cui alle sedicenni comincia già ad andare stretta la definizione di pornobambina (oh, incoscienti Milf delle loro bambole, troppo presto dismesse!), e alle sessantenni va invece benissimo - eccome - un'altra, freschissima voce del dizionario italiano del malcostume contemporaneo: quella della pornononna. Non c'è ragazza nonna leccese che conti che non cerchi disperatamente di rientrare in questa ambita categoria, almeno con la stessa forza e con la stessa convinzione con cui cerca di rientrare nei suoi jeans Replay da ragazza. E considerate che i Replay non hanno cominciato ad andare seriamente di moda prima di quindici anni fa.
Ogni donna, dopo una certa età, diventa l'autoritratto di se stessa da giovane continuamente ridipinto, continuament. I suoi pennelli, per carità, non si chiamano solo mascara Lancôme Oscillation, o tossina botulinica A, ma anche autostima, voglia di distinzione, o semplice amor proprio. Ma quel che è troppo è troppo.

Altrimenti, e lo diciamo con tutta l'onestà intellettuale possibile, non sarebbe così appagante partecipare a una riunione del Sindacato Pensionati Italiani, e rendersi conto che, forse, Lecce è ancora un paese per vecchi. Forza SPI CGIL e forza Celina Cesari.

9 novembre 2010

Michele Emiliano, il comunicatore corsaro e semi-abusivo

In edicola con 20Centesimi

Sembra che ci siano solo due modi di usare Facebook efficacemente, da parte di un politico: quello subdolo e quello molto subdolo. Altro conto sono le assenze o le assenze di fatto dai social network: la tendenza alla Fitto, per intenderci; ma non ce ne vogliamo occupare questa volta.

Il primo modo di essere su Facebook e di esserci con profitto è quello più classico che si possa immaginare. L'atteggiamento alla Nichi Vendola, per citarne solo il caso più eclatante. Lo seguono, spontaneamente, in moltissimi, da prima ancora che Nichi o alcuna fabbrica di esso sbarcasse sulla piattaforma. Si tratta di esponenti di primo piano di grandi partiti come di piccoli consiglieri di comune non egemone. L'atteggiamento in questione consiste nel fingere, nel simulare di essere altro da sé, qualcuno che non si é. Beninteso, non è affatto necessario risultare qualcosa di molto lontano dalla realtà. In qualche caso basta semplicemente essere un po' più educati, più preparati, più democratici e più professionali di quello che non si è. In pratica, dei politici. Solo i fuoriclasse, come Vendola appunto è, riescono ad accorciare drasticamente il gap fra quello che sono o quello per cui sono percepiti nella realtà e quello che vogliono essere su Facebook. Questo primo modo per usare Facebook da parte di un politico professionista, che sia in odore di candidatura, che sia già in campagna o che sia a un governo o a un'opposizione, resta il meno rischioso e il più efficace. 
 
Non è una pratica molto dissimile dal prolungare la dimensione comunicativa dell'addetto stampa, ma in un contesto stabilmente frequentato anche da chi ai comunicati stampa non può accedere. Quello che fanno questi politici una volta su Facebook non è neanche troppo dissimile da quello che svolge quotidianamente, con altrettanta dedizione e acceleratore schiacciato sulla finzione di sé, rispetto a un'altra categoria ben più vasta di utenti di Facebook: gli utenti di Facebook professionisti. Questo è la dimostrazione che Facebook ci ha reso progressivamente sempre più l'ufficio stampa scadente di noi stessi, cui vorremmo affidare temporaneamente solo il meglio della nostra vita, e cui finiamo per consegnare per sempre tutto il peggio di quello che siamo: delle persone che non si accettano e che si vogliono diverse. Sia rivolto ai politici come ai latin lover: non c'è una possibile bella copia di se stessi. 

Il secondo modo di accedere a Facebook e di sfruttarlo a fini politici è molto più rischioso, ma anche molto più soddisfacente. Si tratta di essere se stessi fino al punto di comunicarvi idee, concetti o battutine che neanche nel più agitato dei congressi di partito un politico si sognerebbe di pronunciare. Nonostante sia una modalità più rischiosa, facciamo attenzione, è anche un modo più codardo, alle volte. Una codardia che però ha già dimostrato più volte di pagare tantissimo, e il principe di questi furbi fifoni è proprio il sindaco di Bari, Michele Emiliano. Emiliano gestisce da sé questo spazio in cui comunica l'incomunicabile, protetto da una doppia credenza: che quello che compare su Facebook non sarà mai preso davvero altrettanto sul serio rispetto a una vera dichiarazione o a un comunicato stampa classico. La seconda credenza è che, per quanto gravi o sopra le righe possano essere effettivamente gli aggiornamenti che pubblica dal suo cellulare, saranno sempre più gravi o sopra le righe i commenti che riceveranno dagli utenti o dai diretti interessati.

Così, ogni volta che a Emiliano viene in mente una boutade come si deve (l'ultima è quella che riguarda l'assessore Guglielmo Minervini, accusato da Emiliano, su Facebook, di abusare della sua auto blu: "Non sono come gli assessori regionali ai Trasporti, che parcheggiano in doppia fila davanti alla sede di via Re David"), la risposta è quasi certa: ("Lo stile non è acqua. Ma le risse non mi attraggono", ha postato poco dopo lo stesso Minervini"). Ed è anche quasi certe che il post diventerà notizia. Anzi, una doppia notizia. Un repost, in pratica. Una volta per i suoi contenuti impubblicabili altrove, una volta perché sono stati pubblicati su un mezzo moderno e à la page come Facebook. Insomma, Emiliano, come comunicatore corsaro e semi-abusivo, avrebbe da dare lezioni perfino a Berlusconi.

2 novembre 2010

Silvio e Nichi: fra i due litiganti gode Tiziano Ferro

In edicola con 20Centesimi

Sembra proprio che tutto il putiferio mediatico che le ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio italiano in materia di ricchionaggine hanno suscitato, e che lo avrebbero affossato presso più di una potente loggia dormiente in pigiama di seta, stiano finendo per beneficiare soprattutto due personaggi, appartenenti da qualche settimana alla stessa lobby, ma apparentemente distanti anni luce l'uno dall'altro per formazione, stile di vita e aspirazioni personali. Naturalmente, stiamo parlando di Tiziano Ferro - il cantautore neogay di Latina - e di Nichi Vendola, il politico praticante di lungo corso.
L'annuncio di Silvio
Berlusconi, in verità, non ha sorpreso quasi nessuno. Men che meno i tipici frequentatori del Salone del Ciclo e del Motociclo di Milano-Rho, la location in cui le sue parole ancora riecheggiano: "Meglio guardare le ragazze che essere gay". Diciamo la verità, chi più e chi meno siamo tutti avidi appassionati dei b-movie hardcore in cui si è trasformata, da parecchi mesi, la stampa nazionale, e un po' ce lo aspettavano che il nostro uomo a Palazzo Chigi, se messo davanti a una scelta, pistola alla tempia, avrebbe preferito preferire le marocchine bone - sì, anche quelle che raccontano un po' di spacconate quando si tratta di dichiarare "a chi sono figlie" - alla tremenda minaccia fantasma rappresentata dall'omosessualità latente - che può coglierci tutti di sorpresa quando meno ce lo aspettiamo, con l'eccezione naturalmente dei tipici "topoi" del caso, come le saponette cadute negli spogliatoi di sport di squadra o i massaggi con olio Johnson in senso stretto.
Voi avete mai visto che gente gira a un Salone del Ciclo e del Motociclo di Milano-Rho? Se siete parecchio fortunati, ne conoscete il tipo migliore: il ceto impiegatizio della banlieu meneghina, quello dalla rateizzazione più veloce del Nord, quello che non mangia e non fa mangiare formaggini di marca per poter fare i 230 in tangenziale, con la sua Kawasaki verde, ogni volta che si può permettere la quantità di benzina - altrettanto verde - necessaria a farlo. Il peggiore non avete davvero bisogno di conoscerlo. Ora, Silvio Berlusconi è una macchina di consensi e se una cosa è in grado di fare - oltre a procurarsi il miglior tempo libero in circolazione dai tempi della romanità della decadenza - è dire alla gente quello che la gente vuole sentirsi dire. In particolare, riesce benissimo a dire alla gente di Milano-Rho quello che la gente di Milano-Rho vuole sentirsi dire. Non deve essere in alcun modo amletico neanche per loro cosa scegliere fra un week end di follie con una mulatta con mezzo albero genealogico da fuori e un ideale di vita passato a giocare alla cavallina in appartamenti dotati di carta da parati a pois riciclata. Eppure, la stampa nazionale, che non ha resistito a fare un caso per molto meno, non ha resistito neanche a porre la questione sul vero e proprio affronto: un attacco veemente ai diritti e alla dignità del popolo omosessuale. Dio, come si gode a fare l'avvocato del diavolo: chissà che non si avvicini a questa sensazione fare il Ghedini, con in più qualche milione di euro nel conto corrente. Il chiasso che ne è venuto fuori è stato senza precedenti, per una dichiarazione del Cavaliere che non riguardasse né i magistrati né i trans. Oppurtunamento corroborato da contributi video che, sia sulla home page del Corriere.it che su quella di Repubblica.it, hanno di certo fatto la differenza anche rispetto agli articoli online veri e propri. Centinaia di migliaia di click e due assisti di portata clamorosa. Uno, è naturalmente quello fatto a Vendola e alla sua più riuscita videolettera di sempre.
E' stata postata nelle prime ore del pomeriggio di ieri ed ha fatto subito il pieno dei link e dei commenti su Twitter e Facebook. Davvero espressioni come "il tempo delle barzellette è finito", "teatro della virilità", "titoli di coda malriusciti" sono destinate istantaneamente a passare alla storia della comunicazione politica in Italia. E' una delle prime volte che Vendola non è solo brillantissimo, ma è anche umano, ferito, quasi modesto. Il bello è che probabilmente questo assist non deriva neanche da uno di quelli errori opportunamente malcelati dal premier, uno di quelli in cui lascia trapelare i suoi messaggi più nefasti. E' probabile insomma che Berlusconi non volesse riferirsi direttamente al suo potenziale rivale, con le sue parole. Ma il fatto che Vendola sfrutti così bene tempistiche e strumenti, la dice lunga sulla decadenza del berlusconismo mediatico, e sull'affacciarsi di un nuovo sole almeno altrettanto paraculo.
E Tiziano Ferro che c'azzecca? Chiederete voi. Avete provato a vedere a chi fa riferimento il banner pubblicitario sta facendo manbassa di impressioni giusto sopra il logo testata del Corriere online?
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