30 aprile 2009
The Big Bang Theory in italiano, quando la teoria non è tutto
In edicola con l'Opinione, la recensione di una grande situation comedy americana.
"L'Italia è in trepidante attesa della seconda stagione di una delle sit com di maggior impatto linguistico e stilistico dello scorso anno: The Big Bang Theory, di Chuck Lorre e Bill Prady.
Le diciassette puntate andate in onda per ora anche da noi sono la storia di come la vita di due fisici che lavorano all'Università (uno teorico e dinoccolato, Sheldon Cooper; l'altro più sperimentale e risoluto, Leonard Hofstadter) entri in rotta di collisione con quella di una sventola bionda che lavora in una catena di fast-food (soprattutto dolciumi), che non solo non ha un dottorato, ma è anche in grado di fare innamorare di sé Leonard, il più timido e sensibile dei due. I due secchioni hanno in comune tutto o quasi, a partire dalla casa, che si trova solo a un pianerottolo di distanza da quella di Penny, la suddetta sventola.
Condividono l'amore per i videogame (ogni mercoledì si incontrano con le altre due presenze fisse del loro entourage per delle lunghe sessioni di Xbox che chiamano le "Halo night"); quello per la cucina etnica (thailandese e cinese su tutti, ma solo da un certo ristorante, e solo da asporto, per motivi di fissazione per l'igiene e per le serie televisive di fantascienza, come l'immancabile Battlestar Galactica). Anche gli amici sono perfettamente divisibili e alternabili: Rajesh Koothrappali, l'indiano appassionato di stelle, ma poco di donne (non ci riesce a parlare se non da ubriaco) e Howard Wolowitz, il mammone maniaco sessuale, disgustosamente attratto da tutte le donne che gli capitano a tiro e non, che lavorino nel suo dipartimento (è ingegnere spaziale) o no.
L'unica cosa che separa per quasi tutte le puntate i due coinquilini è proprio Penny. E' chiaro fin da subito che Leonard se ne innamora perdutamente, nonostante i colpi del cinismo misogino dell'altro, che cerca di mettergli in evidenza i lati negativi non dico solo dell'amore, ma anche delle relazioni affettive in generale.
Sheldon è un adorabile burbero, uno scienziato di giorno, idolo di chi legge e comprende le sue pubblicazioni, e un bambino di notte, che non incubo peggiore che quello di raffreddarsi e doversi curare da solo, lontano da casa.
La seconda stagione della sit com si sta concludendo in questi giorni negli USA, e gli adattatori che prestano servizio per il canale Steel di Mediaset Premium possono già riprendere in mano i manuali di fisica quantistica e di senso dell'umorismo di cui avevano avuto strettamente bisogno per tradurre la prima mandata di episodi. Così, fra non molto, sarà tempo che il pubblico italiano possa seguire anche il bis di The Big Bang Theory senza il malefico supporto i sottotitoli amatoriali di ItalianSubs.net. Il lavoro che fanno quei ragazzi, per carità, è spesso lodevolissimo per prontezza e completezza, ma per TBBT hanno fatto davvero degli strafalcioni d'alto bordo.
Con TBBT, la cultura generale del compagno di banco secchione che risiede in ognuno di noi si riverserà tutta sulla possibile decifrazione dei titoli degli episodi della serie: "Il postulato dell'hamburger", "Il paradigma della Terra di Mezzo", "La congettura della bat-biscottiera", "La reazione nocciolina". Tutto il resto di quello che alberga nel nostro cervello, proprio perché non capirà tutte le sottilissime e argute battute di Sheldon, riderà lo stesso come se niente fosse".
28 aprile 2009
Ricomincio da Alda D'Eusanio
In edicola con l'Opinione.
Un'idea geniale fra le tante intelligenti che ha avuto Alda D'Eusanio nella seconda parte della sua carriera televisiva, è stata senza dubbio la prima edizione di "Al posto tuo".
L'altra genialata, sia detto per inciso, è stata ed è quella di intitolare all'incirca ogni anno "Ricomincio da qui" tutti gli altri programmi che ha lanciato, nel frattempo, in tv. Tutte versioni sempre perfezionate, sempre più simili all'originale di quell'età dell'oro, ma mai efficaci come quel primo tentativo di dimostrare il concetto aldino che aveva elevato a manifesto del suo pensiero sulla televisione italiana: è meglio un programma che finge una realtà interessante o meritevole di essere trasmessa, di uno che riproduce veramente una realtà che è non solo priva di interesse, ma fa anche decisamente schifo.
Il "Ricomincio da qui" di questa stagione 2008-2009 è ancora un po' differente da quelli che lo hanno preceduto. In maniera discreta, sta agendo in una direzione insperata anche dai più alti vagiti dei primissimi tentativi (otto, nove anni fa) di mettere in scena la vita su Rai Due. Prendiamo il caso di questo mercoledì, quello di un omosessuale gentile e colto picchiato per questo per strada.
Un omosessuale percosso, un tempo, da Alda diventava il gay menato, e per sempre, anche se per quel sempre dura il tempo in cui possiamo pensare di trarne un insegnamento morale, utile o meno. Oggi la situazione è molto cambiata.
Ha finalmente ricominciato anche lei, ma con altri mezzi rispetto a quelli di cui era dotata prima. Ora è più limitata dal punto di vista della teatralità, ma infinitamente più forte da quello del realismo. Ci sono meno parti in causa, non si litiga più, ma si racconta un pezzo di verità come prima si sarebbe raccontato una piece di finzione. La finzione è stata una scuola per rappresentare la realtà, come quello che diventano bravi giornalisti o documentaristi sebbene abbiano trascorso l'infanzia a sentire favole o bugie.
Il neurologo di studio praticamente con la cravatta della Roma ci riporta per un attimo indietro nel tempo, ma era solo un pregiudizio. Quel dottore è segno della nuova era quanto le lacrime agli occhi del nostro Christian.
Anche le più controverse e convertibili (nel senso proprio automobilistico) delle storie raccontate da Alda nel passato, teatrali o teatroterapeutiche che fossero, paracule o paraculoterapeutiche, davanti a certi personaggi come quello di Christian smettono impovvisamente di esercitare il loro fascino. Il doppio, triplo, quadruplo gioco alla romanzo di spionaggio metatelevisivo cui ci aveva abituato, sembra la trama di una fiction forse scritta benissimo, ma tenuta nel cassetto.
18 aprile 2009
Pomeriggio 5, il peggior modo di raccontare il terremoto in Abruzzo
In edicola con l'Opinione.
La più brutta speculazione sulle vittime del terremoto in Abruzzo la sta facendo, più o meno quotidianamente, la trasmissione postprandiale dell'ammiraglia Mediaset, conosciuta dietro il nome di Pomeriggio 5.
Non perché sia particolarmente cupa, e dunque perché affetti sentimenti che da remoto non si possono avere e, sempre da studio, pianga lacrime che non ci si può permettere piangere. Né perché sia particolarmente allegra, e dunque distaccata dal dramma che ciascuno dei suoi inviati, per non parlare dei loro intervistati, per ogni pochi minuti di collegamento ben riuscito, vive cento, mille volte moltiplicato nel resto della giornata, trascorsa fra sforzi di dimenticare e altri di ricordare dove possano essere finite le proprie cose.
Il punto vero è probabilmente il fatto che Pomeriggio Cinque tratta il problema dell'emergenza in Abruzzo semplicemente come uno dei tanti fatti e casi di cronaca - nera, rosa, fucsia - di cui si occupa e già si occupava ogni giorno.
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