In edicola con 20centesimi
La Focara 2011, dopo un po' di entusiasmo iniziale, si è rivelata la stessa Focara di sempre: la più importante kermesse di fascine d'Italia. Anche presso noi blasé venticentesimali, dobbiamo ammetterlo, certi comunicati stampa sul rinnovamento gastronomico Focara avevano lasciato il segno. Proprio lo spauracchio da "congresso nazionale degli zozzi", invocato nel nostro pezzo di anteprima di sabato - solo per distruggerlo a colpi di solenni promesse di ingredienti "a chilometro zero" e tipicità garantite - si è purtroppo rivelato più reale che mai. Anzi, più che in ogni altra edizione, proprio quest'anno le infinite varianti sulle stesse ricette (dal panino al cordon bleu al panino al wurstel) hanno saputo varcare i semplici confini regionali, e spingersi fino a permettere alla timida camionetta di Felline, quella di sotto la chiesa (deserta quasi tutto l'anno: con un ristorante pro-capite, in paese, vorrei ben vedere) di rivaleggiare con le più ambite concorrenti del salernitano e del casertano. Una vera e propria convention che si è svolta nel massimo rispetto delle divergenze di idee ("il piccante lo metti prima o dopo la fettina?" - "la servola va bollita o piastrata divisa in due?") ma che purtroppo non ha prodotto i risultati che gli organizzatori promettevano, almeno dal punto di vista della convergenza territoriale. Una sola rivincita hanno saputo prendersi, però, gli spettatori non allineati, quegli eterni esploratori della malizia: quelli della cena al sacco portata da casa. I soliti ignobili - diranno i fittiani, orfano com'erano del loro fratello-padrone, rimasto in casa per via di un'improvvisa febbre. I soliti ignobili, comunque, hanno notato un piccolo dettaglio che ha saputo deliziare loro e, tutto sommato, divertire anche i meno inclini alla sfiducia all'attuale governo, e ai fischi ai suoi rappresentanti o sostenitori locali.
Al termine del concertone di "Elio e le storie tese", quindi, svanisce la paura di aver fatto del tutto inutilmente la strada a piedi praticamente dall'altezza di Villa Convento.
Un elemento la fa da padrone nei cuori di questi partecipanti più attenti, di quelli che non si fanno prendere per il naso da un crepparo acrobatico e non ringraziano a ripetizione Sant'Antonio Abate, solo perché hanno ritrovato il venditore barese di padelle antiaderenti dello scorso anno, allo stesso prezzo. Questo elemento è quel cavallo di Troia di un Elio, che è riuscito a far passare un suo canto in particolare non solo davanti al naso di Antonio Gabellone, di Rocco Palese (forse l'unico davvero cosciente dell'affronto subito, o semplicemente il più annoiato di tutti) ma anche di quello del committente principale del concerto stesso, il sindaco-farmacista di Novoli, Oscar Marzo Vetrugno.
Nessuno ha pagato per vedere il concerto degli Elii, ma sarebbe stato comunque impagabile vederli cantar "Canta canta con Lele, balla balla con Fede, se non stai attento vai in galera per colpa dell'Africa". Semplice, geniale, il bunga bunga della Focara, il bunga bunga del fuoco che brucia la noia con un retrogusto di svampa di salsiccia tribale. E restituisce il dono della danza anche a chi sta ancora digerendo la cena.
Come c'era da aspettarsi, all'indomani del giorno clou della Focara di Novoli, i maggiori quotidiani locali hanno ci hanno banchettato, con titoli e pezzi di cui i mali minori erano "Pienone di fedeli" o "Una festa che dura tutta la notte". Guai a sentire parlare del bunga. Questo rientra in una certa prassi giornalistica e non ce ne meravigliamo più. Abbiamo sviluppato una sorta di immunità al sospetto di piaggeria nelle articolesse dei migliori numeri del Quotidiano di Lecce, "Nuovo" solo gattopardescamente, perché niente cambi. O anche dei peggiori numeri della Gazzetta del Mezzogiorno, soprattutto quelli del lunedì. In verità, non crediamo neanche più a quella taccia iniziale di leccaculismo che avvolge quasi tutti i contributi del genere (dall'entusiasmo per la riqualificazione di San Cataldo a quello per l'edera sui pali del filobus). La spiegazione di tutto questo è che semplicemente non sempre si sa cosa scrivere, sui giornali, e che ogni nuovo argomento da trattare, per quanto trito e ciclico, è talmente benvenuto che l'entusiasmo che si sprigiono all'atto della sua adozione da parte dell'articolista è già un mezzo elogio. Il resto, se c'è, lo fa la panza piena.
(DA TIC & TRIBU' dello stesso giorno)
Come sempre, una delle attrazioni della Focara e dintorni sono le proposte commerciali di bancarelle di ogni tipo. Ogni anno è praticamente impossibile, per le addette ai lavori domestici, non cedere alla suggestione che le proprie condizioni di vita saranno cambiate per sempre, grazie a una spugnetta magica o a un mattarello telescopico. Un po' come avviene per le promesse dei politici sul futuro di eventi come la Focara stessa, del resto. In questi giorni la star è la spugnetta antimacchia di una signora che, al contrario dei tanti baresi microfonati, che propongono a loop le loro retoriche commerciali, semplicemente si rifiuta di fornire spiegazioni sull'uso della sua mercanzia.
17 gennaio 2011
5 gennaio 2011
Dov'è finita la Befana?
In edicola con 20Centesimi
Non sono tempi facili per la Befana. La sua figura, un tempo tanto diffusa e simbolica, è ormai da annoverare fra le razze ultraterrene in via d'estinzione. Guai se a un bambino di oggi mancasse un elfo da comodino o un Babbo Natale da balcone. La Befana, invece, è la prima rinuncia iconografica di ogni famiglia contemporanea, quanto è alle prese con le feste e con la crisi. La fa da padrona solo nella romana piazza Navona dove, a dire il vero, dove non c'è una bancarella del mercatino natalizio che, accanto ai pupi del presepe, non vanti una o più versioni elettroniche della sua rappresentazione tradizionale: pupazzone urlanti, sghignazzanti, dagli occhi verdi come led o solo, semplicemente, molto brutte di faccia e di fisico. A Lecce la Befana è stata avvistata giusto da Avio, non a caso incrollabile baluardo baristico della concretezza contro il decorativismo. Sono però bambole tristi, quasi impaurite. Hanno poco della sfrontatezza autentica del personaggio che riproducono - stancamente. Lo sanno tutti che il grosso è contenuto nei calzettoni (esposti accanto) e che pochissimi clienti andranno a frugare fra le loro gonne per ottenere qualsivoglia dolcezza.
Purtroppo, essendo la nostra Befana molto meno fotogenica di un panda, sarà difficile far sì che un WWF si adoperi per la sua salvaguardia (eppure Santa Lucia solo sa se ne sarebbe bisogno, vista la fine che ha fatto lei, lei da cui tutto è cominciato: la prima presenza soprannaturale a portare doni ai bambini). Alcuni sostengono che questa vecchia signora sta pagando duramente la sua indifferenza mediatica; il suo storico rifiuto delle scene e dagli spot commerciali; il suo stesso significato originario, pregno di cultura underground poco alla moda (leggi: paganesimo rivisitato). Si dice, infatti, che la Befana abbia un'origine antichissima e che sia nata per morire. Cioè per incarnare, ciclicamente, la vecchiezza di un anno che se ne va: in brandelli. Un anno che almeno, tuttavia, ha il coraggio di andarsene, di concludersi, di essere sottoposto al vaglio di bilanci, riflessioni, pentimenti o soddisfazioni. Non come accade oggi. Gli stessi, sostengono che parta da qui l'inizio della decadenza befanesca: da questa negazione o falsificazione dei bilanci.
Insomma, quanto è svantaggiata questa povera donna non solo rispetto alla figura così rilassatamente markettara di un Babbo Natale, ma anche e soprattutto rispetto a una serie di presenze femminili altamente concorrenziali. Prime fra tutte: le vampirelle giovani e sexy che la televisione e il cinema hanno saputo rendere oggetto di culto.
La Befana è da sempre la dark lady delle feste comandate. Il lato oscuro delle celebrazioni. Il coté crepuscolare del buonismo natalizio. E' la voglia di mettere in dubbio ogni nostra certezza e credenza, a partire da quella nella bellezza fisica dei nostri eroi. Le protagoniste di tante serie tv basate sul lato oscuro dell'estetica, amano vincere facile grondando sangue, ma truccate alla perfezione; inseguendo il male, ma uscendo in foto sempre così bene. Con coraggio da vendere e carbone in quantità industriali, la Befana sola ha conservato la capacità di irridere tanto le Famiglie Cuore sanguinolente (vedi: la saga di Twilight) quanto le Barbie dei modelli televisivi tradizionali.
Fino a qualche anno fa "che ti porta la Befana?" resisteva come uno di quei modi di dire retrò che fanno tanto nonna-chic, alla stregua di "metti il pane nella ghaicciaia" (invece che nel frigo), o "ci vediamo in piazza trecentomila" (piuttosto che in piazza Mazzini). Oggi non c'è più neanche questo, e sono sempre meno i genitori che minacciano i propri figli con eventuali delusioni da parte di lei. Eppure, solo la Befana è capace di portare realmente nient'altro che carbone, seppure dolce, a chi non merita altro. Non solo più antiestetica, ma anche storicamente più tirchia, dunque, rispetto a Babbo Natale. E' come se a una figura maschile come Santa Claus si potessero perdonare tutti i difetti che pur possiede (e non sono pochi, dalla barba incolta al pancione, alla stessa età avanzata). E alla Befana, che ha solo quello della bruttezza fisica, oltre a una dirittura morale impeccabile, non si perdona nulla. Adottate una Befana: non sapete quanto possono essere generose le donne racchie quando ricevono la giusta dose di affetto.
Non sono tempi facili per la Befana. La sua figura, un tempo tanto diffusa e simbolica, è ormai da annoverare fra le razze ultraterrene in via d'estinzione. Guai se a un bambino di oggi mancasse un elfo da comodino o un Babbo Natale da balcone. La Befana, invece, è la prima rinuncia iconografica di ogni famiglia contemporanea, quanto è alle prese con le feste e con la crisi. La fa da padrona solo nella romana piazza Navona dove, a dire il vero, dove non c'è una bancarella del mercatino natalizio che, accanto ai pupi del presepe, non vanti una o più versioni elettroniche della sua rappresentazione tradizionale: pupazzone urlanti, sghignazzanti, dagli occhi verdi come led o solo, semplicemente, molto brutte di faccia e di fisico. A Lecce la Befana è stata avvistata giusto da Avio, non a caso incrollabile baluardo baristico della concretezza contro il decorativismo. Sono però bambole tristi, quasi impaurite. Hanno poco della sfrontatezza autentica del personaggio che riproducono - stancamente. Lo sanno tutti che il grosso è contenuto nei calzettoni (esposti accanto) e che pochissimi clienti andranno a frugare fra le loro gonne per ottenere qualsivoglia dolcezza.
Purtroppo, essendo la nostra Befana molto meno fotogenica di un panda, sarà difficile far sì che un WWF si adoperi per la sua salvaguardia (eppure Santa Lucia solo sa se ne sarebbe bisogno, vista la fine che ha fatto lei, lei da cui tutto è cominciato: la prima presenza soprannaturale a portare doni ai bambini). Alcuni sostengono che questa vecchia signora sta pagando duramente la sua indifferenza mediatica; il suo storico rifiuto delle scene e dagli spot commerciali; il suo stesso significato originario, pregno di cultura underground poco alla moda (leggi: paganesimo rivisitato). Si dice, infatti, che la Befana abbia un'origine antichissima e che sia nata per morire. Cioè per incarnare, ciclicamente, la vecchiezza di un anno che se ne va: in brandelli. Un anno che almeno, tuttavia, ha il coraggio di andarsene, di concludersi, di essere sottoposto al vaglio di bilanci, riflessioni, pentimenti o soddisfazioni. Non come accade oggi. Gli stessi, sostengono che parta da qui l'inizio della decadenza befanesca: da questa negazione o falsificazione dei bilanci.
Insomma, quanto è svantaggiata questa povera donna non solo rispetto alla figura così rilassatamente markettara di un Babbo Natale, ma anche e soprattutto rispetto a una serie di presenze femminili altamente concorrenziali. Prime fra tutte: le vampirelle giovani e sexy che la televisione e il cinema hanno saputo rendere oggetto di culto.
La Befana è da sempre la dark lady delle feste comandate. Il lato oscuro delle celebrazioni. Il coté crepuscolare del buonismo natalizio. E' la voglia di mettere in dubbio ogni nostra certezza e credenza, a partire da quella nella bellezza fisica dei nostri eroi. Le protagoniste di tante serie tv basate sul lato oscuro dell'estetica, amano vincere facile grondando sangue, ma truccate alla perfezione; inseguendo il male, ma uscendo in foto sempre così bene. Con coraggio da vendere e carbone in quantità industriali, la Befana sola ha conservato la capacità di irridere tanto le Famiglie Cuore sanguinolente (vedi: la saga di Twilight) quanto le Barbie dei modelli televisivi tradizionali.
Fino a qualche anno fa "che ti porta la Befana?" resisteva come uno di quei modi di dire retrò che fanno tanto nonna-chic, alla stregua di "metti il pane nella ghaicciaia" (invece che nel frigo), o "ci vediamo in piazza trecentomila" (piuttosto che in piazza Mazzini). Oggi non c'è più neanche questo, e sono sempre meno i genitori che minacciano i propri figli con eventuali delusioni da parte di lei. Eppure, solo la Befana è capace di portare realmente nient'altro che carbone, seppure dolce, a chi non merita altro. Non solo più antiestetica, ma anche storicamente più tirchia, dunque, rispetto a Babbo Natale. E' come se a una figura maschile come Santa Claus si potessero perdonare tutti i difetti che pur possiede (e non sono pochi, dalla barba incolta al pancione, alla stessa età avanzata). E alla Befana, che ha solo quello della bruttezza fisica, oltre a una dirittura morale impeccabile, non si perdona nulla. Adottate una Befana: non sapete quanto possono essere generose le donne racchie quando ricevono la giusta dose di affetto.
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