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Il popolo dei ciclisti di Lecce città è uno dei più anomali e amabili nel panorama nazionale, sia da un punto di vista squisitamente pseudosociologico, sia da un punto di vista estetico. Come si può non amare le due categorie in due la mannaia sociocomportamentale separa i leccesi che inforcano la bicicletta per almeno due o tre volte alla settimana? Da una parte ci sono i più assidui. Quelli che concepiscono concretamente la bicicletta come un'alternativa agli altri mezzi di trasporto e, contemporaneamente, a un buon numero di tecniche di suicidio non indolore, nonché a quasi tutti gli anticoncezionali "indiretti". Quest'ultimo punto, sia per via della scomodità dei sellini che adoperano, sulle bici scassate, rigorosamente comunque da donna, che usano; sia per via del fatto che, una volta visti a bordo di mezzi come quelli che, stranamente, sembrano prediligere su tutti gli altri, sarà molto difficile per loro avere una vita sessuale normale. Questi ciclisti sono tutti o quasi chiaramente di sinistra o ritenuti tali, con qualche doverosa, commovente eccezione come il padre del Sottosegretario Mantovano, habitué di lunghe pedalate in sella al suo fedelissimo modello monomarcia (privo di cambio).
Gli altri, probabilmente, sono ancora più pazzi. Sono i ciclisti della domenica, ma non nel senso che pedalano poco e male, o non ne capiscono un cacchio di biciclette. No, questa è gente che litiga perché il compagno di sgambata di sempre, con cui ha condiviso ogni week end centinaia di chilometri - ci fosse la gelida manina della tramontana autunnale o il solleone delle grandi occasioni di blocco respiratorio - tutt'a un tratto compra e sfoggia un portaborraccia in fibra di carbonio, che pesa 25 grammi meno del loro, compromettendo per sempre la genuinità della loro rivalità. Sono quasi tutti di destra, anche se votano altrove, quasi per nascondere scaramanticamente al fisco le spese che fanno per aggiornare i telai delle loro bici, che chiamano con nomi di donna e con cui passano anche del tempo in salotto.
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