30 dicembre 2010

Quasi un romanzo

In edicola con 20Centesimi


Nella prefazione a "Quasi un romanzo", Edoardo Winspeare, da cinematografaro convinto, ha saputo cogliere perfettamente il senso del lavoro letterario e fotografico di Federico Fuortes, contenuto nelle pagine di questo titolo, uscito per le Edizioni Panìco: "Il fascino del libro, come nei grandi classici, sta nell'introdurre il lettore in un universo sconosciuto, sorprendente, con l'autore nel ruolo di padrone di casa. E Fuortes lo fa in tutti i sensi: ci apre il portone de lu Palazzu, ci accompagna attraverso le stanze, per le vie del paese, nelle visite a Lecce, ci presenta i suoi parenti erigendo un piccolo monumento letterario al personaggio della nonna".
Non a caso Federico Fuortes (classe 1947, ma solo nella pipa d'ordinanza; fotografo, informatico sui generis; pilota di aerei; drammaturgo storico) è un altro di quei salentini eccezionali che vanno in giro per il mondo solo finché non capiscono che ci si può viaggiare più comodamente e speditamente anche stando seduti in un salottino di Giuliano di Lecce. Ferma restando, naturalmente, una conoscenza della Leuca-Maglie approfonditissima, come si confà a un grande raccordo diversamente rettilineo fra realtà e immaginazione, da imboccare ogni volta che si ha voglia di una di quelle partite (che siano trasferte o domestiche) fra sé e il resto del mondo che si chiamano narrazioni.

Una conoscenza come può esserla solo quella di uno che, quella strada, l'ha percorsa con ogni mezzo e con ogni parente, in una qualunque delle epoche in cui era progressivamente una terra di qualcuno (quasi tutti amici di famiglia); una terra di nessuno (preboom a scoppio ritardato) e una terra della rimebranza, che a uno può sembrare calda anche se è arsa, fertile anche se non frutta e comunque intensamente irrigata dalle suggestioni continue di quella parte dell'immaginazione che, solo per comodità, chiamiamo memoria.
"Quasi un romanzo" è una narrazione autobiografica talmente preziosa, comica, assurda da non poter essere accostata che a Proust o ai migliori epigoni italiani dell'autore della Recherche. Uno a caso, l'Alessandro Piperno delle migliori parti del suo unico libro funzionante, "Con le peggiori intenzioni", dopo l'uscita del quale l'autore romano è tornato ad essere quello che il pubblico italiano sembra chiedergli (e neanche troppo a gran voce): un altro miracolato - sebbene ricco di famiglia - di Antonio D'Orrico.

Non c'è nessun altro scrittore, probabilmente, che ha saputo "cantare" così, come se fossero parte di una piccola epica necessaria, prima ancora di un'elegia contingente, i rapporti di un "signurinu" (fosse parigino del Boulevard Haussmann o del Capo di Leuca) con sua nonna.  E' più a Proust che a ogni altro (molto più che a gli autori rievocati dallo stesso Winspeare, come Garcia Marquez o Tomasi di Lampedusa) dobbiamo far risalire le suggestioni che possono aver cambiato per sempre il rapporto col suo passato a un ragazzo i cui spostamenti in macchina fra un paesino e l'altro dell'infanzia parevano l'inizio e la fine del mondo.

Un "Narratore", però, più sano, più schietto, più chiaroscurale che impressionista, come fu ampiamente il suo predecessore d'Oltralpe. Anche più semplicemente voglioso di vivere che di scrivere e basta, come del resto ha quasi dannunzianamente saputo dimostrare Federico Fuortes, che oltre che a sapere raccontare in maniera indimenticabile gli investimenti borsistici di famiglia (resi vani dalle disattenzioni di matrone troppo interessate agli sceneggiati per controllare, quando richiesto, l'andamento dei titoli nei giornali radio), è in grado di far atterrare in tutta sicurezza anche qualcosa di più che un ultraleggero.
Come attesta il titolo stesso, l'opera è una fiction "à clef", in cui però la necessaria facciata di finzione dietro cui - da definizione - si nasconde l'autore è talmente sottile che può essere intravista anche dietro un solo sottilissimo strato di intonaco giulianese.
Ma, nonostante tutto questo, quello che prende di più non è il modo di ricordare di Fuortes, ma il modo di riportare tutto quello che ricorda alla realtà di oggi. E' qui il vero miracolo della sua penna. Per questo motivo, il tratto più toccante di tutto il libriccino, nonostante le tante digressioni strappalacrime o strapparisate, è la fiducia ingenua con la quale il volume stesso si affida al suo pubblico (che quasi non lo trova nelle librerie leccesi): "Reperibile anche alla Tabaccheria di Giuliano di Lecce".

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