16 dicembre 2010

Pierluigi Bolognini, che spettacolo!

In edicola con 20centesimi

Che Pierluigi Bolognini sia il miglior fotografo italiano di architetture salentine non era in dubbio affatto. Se aveste bisogno di rinfrescarvi la memoria a riguardo, basta andare a pescare a caso fra i suoi volumi, categorizzati sotto la dizione "Salento", in una qualunque delle nostre librerie. Da che ha cominciato a impressionare pellicole e pubblico, Bolognini è la dimostrazione palese del fatto che anche per rappresentare l'infinito ci vuole angolazione (andate a rivedere qualche sua foto dedicata al mare o al rapporto fra terra e uno a scelta dei nostri due mari ufficiali, tutte sublimi simboli del rapporto fra conoscenza del territorio e pura ispirazione).

Per corollario, il secondo teorema fondamentale di Bolognini è che, soprattutto per cogliere un attimo, ci vuole molto tempo. Il suo metodo è un miscuglio saggio come la sua età ma agile come la sua capacità di essere sempre con l'obbiettivo dove c'è bisogno di essere, al momento giusto e col cavalletto giusto. Anche Francesca Ruppi, sua stretta collaboratrice (ai testi) nella sua ultima impresa editoriale, presentata ieri a Palazzo Adorno e poi alla Liberrima, scuote il capo fra l'ammirata e l'apprensiva davanti a certe realizzazioni, che ora sono luce su carta patinata, ma un giorno niente affatto lontano (ed è questo quello che è più preoccupante, anche se Bolognini è chiaramente un ragazzino) erano carne umana e sensori digitali su impalcatura, su cornicione, su tetto e Dio solo sa su quale trovata il maestro deve aver posato i piedi per immortalare - una volta di più - il profilo della banderuola "sacra" di Sant'Oronzo, che decora gli ultimissimi metri dei sessantotto di uno dei campanili più alti d'Europa e del mondo, incorniciata com'è, nella foto che fa da copertina a "Lecce, che spettacolo!".

Questa nuova opera kolossal (196 pagine di 27 per 27 cm, a 70 euro per i primi giorni promozionali, e in attesa di essere ristampata dopo Natale in edizione economica 16 per 16) è un secondo capitolo per un Bolognini anticonvenzionale, dopo il successo rinfrescante, tanto era acquatico e marittimo, di "Salento, che spettacolo!", uscito nei mesi scorsi. Mai come adesso la Aus Comunicazione, con questo formato king size e questa proposta, a un tempo, di monumentalità sbarazzina e di dettagli maestosi, è candidata per direttissima ad avere imbroccata la strenna natalizia "non utile" numero per il Natale 2010. Siamo pronti a scommettere che non ci sarà professionista minimamente in vista che non si ritroverà a dover mettere in circolo copie su copie riciclate di questo volume, tante ne riceverà dai suoi clienti.
Quello che emerge fin dal primo contatto colla sua ultima fatica è un nuovo Bolognini meno assoluto o aereo e più profondamente umano e leccese di quanto ricordavamo. Anche più "personale" e "disincantato" che in "Salento, che spettacolo!". Non dicevamo a caso "italiano", qualche riga più in su. L'essere stato Bolognini sempre attentissimo osservatore del Salento, fin nelle minuzie della decorazione archiettonica religiosa, come nelle vedute complessive di città e porti da prospettive insolite o impossibili, non ha potuto fare a meno di lasciarci qualche volta con l'amaro in bocca. Non di freddezza si trattava, ma di meritata aulicità. Era come se avessimo tanto voluto vedere un dietro le quinte di quella maestosità, un momento in cui il particolare diventava l'universale.

Ed eccoci abbondantemente accontentati. Non ci sono sole le vedute aeree di Villa Reale o della Torre del Parco, in questo libro. Le foto must della nuova tendenza sono davvero tante. Ma una ci ha straziato il cuore. E' ambientata nel bel mezzo di piazza Sant'Oronzo, altezza lupa. La silhouette con la mammifera madre della leccesità riposa, schiena contro schiena, contro un vero cane randagio, disposto in simmetria con le zampe dall'altra parte, ugualmente addormentato. Il dittico generato casualmente, ma perfettamente colto dall'obbiettivo, è fra la Lecce di razza che mostra tutta la sua storicità rilassata (sdraiata a prendere il fresco) e la Lecce randagia, abusiva, ma solo apparentemente brutta che spesso vorremmo fare finta di non vedere, eppure è comunque sempre presente ed è forse necessaria all'altra perché sembri così bella.

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