2 aprile 2011

Lettera a un Tipografo malnato

Caro Tipografo, che ieri notte hai stampato la pagina 3 del numero di 20centesimi dell’altro ieri (venerdì) al posto di quella di ieri (sabato), volevo ringraziarti di esistere.

Anche se hai impedito al mio amico e collega Alberto Mello di veder pubblicato in tempo il suo bellissimo e premonitore articolo su Mantovano [lo trovate ancora online, sulla pagina Facebook di 20centesimi ndr], lo stesso volevo ringraziarti di esistere. Non prenderlo come uno sfottò: veramente il tuo gesto è stato importante per una serie di riflessioni a catena che ho deciso di fare, un po’ perché era bello farle, un po’ perché così non ci ho pensato più tanto, al tuo gesto, e tutto è andato meglio. Ci sono un sacco di cose che mi ha fatto venire in mente la tua piccola distrazione, che a qualcuno sarà parsa sconsiderata; a qualcun altro quasi inconsciamente dispettosa. E qualcun altro ancora non ho capito proprio bene cosa è sembrata, perché stava gridando troppo forte e poi insieme con gli altri di cui ti ho già detto, per giunta.
Il tuo ruolo, per me, nel buio dell’officina in cui attacchi a lavorare proprio quando io finisco, sei una specie di semidio, forse lucente, sicuramente miracoloso ai miei occhi. Forgi quelle paginette (che a furia di batterle come ferro incandescente, a dire il vero, si sono fatte più sottili da qualche tempo, ma novità imponenti sono dietro l’angolo) senza sosta, fino a che non è l’ora di farle partire per quell’altra magia, che ha pari solo in Lapponia la notte di Natale, che si chiama distribuzione dei giornali quotidiani italiani.

Le forgi e, per un attimo che dura 24 ore, noi siamo quello. Non c’è pentimento che tenga, correzione last minute, aggiornamento, affastellamento di Anse o di ansie: noi siamo quello che tu forgi per 24 ore. Quando qualcosa va storto, come ieri, nulla toglie alla mia Pollyanna interiore di pensare: che bello quando va tutto bene, però. Che bello che un giornale sia ancora questa magia che tu imponi a un pensiero che per un po’ resta quello che era l’ultima volta che hai voluto farlo, e nient’altro.

Il nostro rapporto, caro tipografo, viene da lontano. Ma non solo perché è più di un anno che siamo come il sole e la luna nei miti greci e ci amiamo, pur non potendoci mai incontrare. Non solo perché il tuo capo, una volta che non dimenticherò mai, mi ha visto nel bel mezzo di una fiera libraria locale. Ero solo, ero spaurito, più che altro non avevo un tavolo su cui poggiarmi. E mi offrì una stanzetta intera piena di tavoli e leccornie di ogni tipo. Anche patatine.
No, il nostro rapporto viene da ancora più lontano. Non voglio fare il modesto con uno che ha appena combinato un casino, la dico tutta: siamo l’anima e il corpo di questo giornale. Se tu non ci fossi, ogni notte, io mi scioglierei come neve al sole di marzo pazzerello. E tu, senza di me, saresti sordo e cieco come una talpa che ha scavato troppo. Ecco, io questo non lo ho pensato subito, stamattina, quando insieme con le dozzine e dozzine di persone che ci comprano ogni mattina e le migliaia e migliaia che pare ci scrocchino nei bar più selezionati di Lecce e Provincia, mi sono accorto del tuo errore. Ma ho aspettato un poco e poi ti ho perdonato. Non farlo mai più. Ti voglio bene,
il tuo giornalista.

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