15 aprile 2011

Quando Bersani diventa guru della comunicazione


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Fra le piccole e grandi sorprese contenute nel libro dato ieri alle stampe da Pierluigi Bersani (presso i tipi di Laterza; titolo: “Per una buona ragione”) - fra le grandi non manca l’elogio di Benedetto XVI come papa “moderno” - c’è anche una vera e propria requisitoria in materia di linguaggio politico che il segretario del Pd ha rivolto ad alcuni dei membri, sia interni che esterni al Pd, della coalizione “naturale” con cui il centrosinistra potrebbe presentarsi alle prossime elezioni. L’assenza di Di Pietro e di dipietristi di sorta dalla hall of fame dei cattivi comunicatori istituita da Bersani, non si capisce se sia più un’ammissione a denti stretti della non classificabilità del molisano, o più un incentivo alla solidità della coesione col Pd e con Sel.

In ogni caso, non diceva male uno che era del ramo: “La fenomenologia del linguaggio è un'esperienza del mistero e dell'altro, delle persone e della loro storia”. Così, a soli 12 euro Bersani non si limita a studiare, insieme coi suoi due intervistatori Miguel Gotor (docente di Storia Moderna all’Università di Torino) e Claudio Sardo (giornalista), il male del populismo berlusconistico - cui vada ad aggiungersi pure quell’altro morbo, uguale e contrario al primo, ma ancora più letale dal punto di vista della produttività di contenuti e di risultati elettorali, che è l’antiberlusconismo. Citando ampiamente Gramsci, per Bersani “l’aulicità è uno strumento di dominio”.
Il segretario del Pd individua in tre filoni possibili le tendenze linguistiche che hanno allontanato dal popolo e soprattutto dalla popolarità il centrosinistra italiano. La prima ad essere citata dal guru della parlata schietta piacentino è la devianza vendoliana: la vena narrativa, quella libera favella in libera Regione che però non sempre è comprensibilissima e qualche volta è pure strumentalizzabile. Prova ne sia il fatto che una delle poche rubriche di grido rimaste ancora in vita al “Foglio” di Giuliano Ferrara si intitoli proprio: “Nichi, ma che stai a dì” e sia un elenco più o meno ragionato, proposto quotidianamente, “delle frasi più folgoranti pronunciate dal governatore della Puglia Nichi Vendola”. Ça va sans dire che quelle frasi hanno molto in comune con quelle che Checco Zalone ha pronunciato nelle sue ultime, memorabili imitazione del Governatore pugliese.

La seconda tendenza è quella promossa dall’ammerigano Walter Veltroni: qui, secondo il Bersani guru della comunicazione politica, si è sbagliato non per eccesso di narratività e difetto di sintesi e rapporto con la realtà (le “favole” di Vendola), ma per totale onirismo e forte impulso alla “fellinade”. Veltroni come regista di un sogno italiano destinato a dimostrare, per l’ennesima volta, che chi vuole mostrare a tutti i costi che contino più i percorsi delle mete, forse, non è che sia diretto verso chissà quale meta. Sono pesantissime le parole di Pierluigi che stigmatizzano il tentativo veltroniano di una via “a stelle e strisce”. Tanto più pesanti quanto più l’accusa è di “levità”: “Democrazia è una parola meno leggera di quanto non lo sia per la cultura liberal americana”.

Il terzo indiziato è indiziato Matteo Renzi, e qui il j’accuse riguarda la sua presenza su Facebook. A Bersani sembra non andarne bene una, perché il giovane sindaco di Firenze viene indiziato come fautore di una politica dedita alla personalizzazione di essa, in una visione che al progetto politico tende a sostituire la scelta delle persone, con conseguente rischio di derive plebiscitarie e diverse malattie cardiovascolari. Un esercizio di “democrazia delegata”, quello di Renzi, nulla di più e nulla di meno. E i politici pugliesi? Chi è al riparo dalle grinfie del Bersani spin doctor? Quasi tutti apparentemente, visto che non li calcola di striscio nel libro. Ma chi sono quelli a rischio, al netto delle critiche rivolte ad altri, che potrebbero assurgere a modello per una critica ai suoi derivati?
E’ quantomeno da notare come, oltre a questi tre mali della lingua parlata dalla sinistra italiana non al potere, Bersani eviti - non si sa quanto conscientemente - di produrne anche un quarto. Una quarta via fortemente intrisa di socialmedialità, come accade per il sindaco di Firenze, ma con tanta schiettezza e concretezza in più, che forse potrebbero essere le più vicine alla perfezione bersaniana: quelle di Michele Emiliano.

In realtà, parrebbe che i pugliesi e in particolar modo i salentini del centrosinistra, con qualche eccezione, se la cavino piuttosto bene all’esame del bersanometro. Sergio Blasi, ad esempio, è un curioso trait d’union fra narrazione e onirismo, fra cultura generale e preparazione politica. Eppure non è solo un dirigente: è stato anche un bravo amministratore. E’ il meno tradizionale dei rappresentanti del Pd pugliese, il meno paludato nella solita politica. E, soprattutto, possiede il merito di essere un originale. Sì, perché i rischio è sempre il vendolismo posticcio. Che non si può acquisire, come forse si può fare col veltronismo. Anche se Loredana Capone è lungi dall’essere un clone di Vendola - pensate solo ai vari traocchi salentini di D’Alema, che ne imitano perfino la gestualità - è un po’ più a rischio emulazione retorica, sull’onda dell’entusiasmo, ogni giorno che passa. Infine, nn veltroniano doc, uno che impazzisca per il jazz e che vada spesso in Africa, forse non ne abbiamo. Anche perché in Africa, in fondo in fondo, ci siamo quasi già.

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