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Ieri è inaugurata una mostra fotografica che tutti i giovani di sinistra di Lecce dovrebbero vedere, se non l'hanno già vista e rivista negli scatoloni dei ricordi dei loro padri o dei loro nonni, a secondo di cosa intendiate per "giovani" e "di sinistra", naturalmente. La mostra - proposta dalle Officine Culturali Ergot di Piazzetta Falconieri - si chiama "Puglia Ribelle" e celebra in fotografie d'epoca i 40 anni dalla nascita del Circolo Lenin di Ceglie Messapica, momento cardine della formazione e della successiva scesa in campo (quando scendere in campo poteva significare anche manifestare per strada) dei ragazzi e delle ragazze che hanno fatto la storia del post-comunismo pugliese e salentino.
E' grande il piacere di rilassarsi leggendo le ricche didascalia della mostra, una volta realizzato chiaramente che, a differenza di tante occasioni di autorappresentazione post-comunistica dei giovani d'oggi (magari al vicino Zei), in cui l'ansia da prestazione di non apparire abbastanza compagno o dirigente è effettivamente tanta, da Ergot si può essere se stessi - qualunque cosa si sia o si sia stati. In altre parole, c'è forte tolleranza nei confronti del diversamente compagno. Certo, essere stato un piccolo grande vecchio delle lotte operaie o bracciantili locali, magari riconoscibile in almeno un paio di foto esposte, aiuta eccome, a sistemarsi in un bel posticino d'onore nella considerazione dell'austero cassiere, che parla ininterrottamente con un uomo dal cappello strano. Eppure, fra gli scaffali ben forniti di stampa alternativa o solo non vendibile, non troviamo solo titoli come il pur attraente "Introduzione alla Bioarchitettura Feng-Shui" ("con interviste esclusive a bioarchitetti"), ma anche mercanzia decisamente più commerciabile, come ad esempio un fumetto ispirato alla biografia del grande Rino Gaetano, che non avevamo visto in nessun altra libreria delle nostre parti. Non mancano, anzi, neppure voci di catalogo-anatema, che farebbero rivoltare nell'Eskimo qualunque membro del Circolo Lenin di Ceglie Messapica degno di questo nome, come l'impronunciabile ad alta voce - eppure candidameste esposto su un tavolino - "Il mondo di Coco Chanel" di Karen Karbo, che ci domandiamo come possa essere finito qui, mentre dalla cassa ci guardano malissimo, come essendosi accorti di cosa stiamo guardando, e come se tutto non fosse altro che un tremendo trabocchetto per sgamare al volo, fra i convenuti non strettamente habitué di questo spazio, chi ci è e chi ci fa. Alcuni, magari anche comunisti a due pugni alzati (come nell'indimenticabile Mario Brega di un film di Verdone), cercano pertanto di nascondere il più possibile una moglie collusa coi padroni, mentre lei posa il cappotto di cashmere su un porta abiti messo a disposizione dall'Ergot, già sospetto di per sé.
E' stata una bella inaugurazione, ieri. Forse pochi giovani fuori, ma in compenso era delizioso osservare la stratificazione di tutti questi ricordi nelle parole e nelle impressioni che i figli e i nipoti dei protagonisti di questa stagione di lotta politica non possono fare a meno di scambiarsi, mentre Si guarda una foto, si degusta un bicchiere di plastica, e ci si consola fra i ricordi di ribellione altrui, la vera ribellione che non torna, come non ne fanno più: le ribellioni che si dovrebbero clonare. Non si deve mai rispondere con lo sguardo - o con l'ostensione di alcuna reliquia anni '70 riadattata dalla sartina di fiducia - a qualcuno che ti squadra apertamente, con la faccia di uno che non voglia dire altro che: "Io sono più leninista di te". Piuttosto, strappa un sorriso l'incoscienza della bambina dalla pelle olivastra, che non ha alcun dubbio sul fatto che il suo nonno preferito - bellissimo, giovanissimo nella foto del quarto o quinto pannello - fosse più trotskista del tuo. Ma non te lo fa pesare e, anzi, ti chiede con dolcezza se il tuo, di nonno, non sia per caso quello che regge il megafono due pannelli più in là. Ironia della sorte, tuo nonno nel '71 era a giocare duro in qualche casinò municipale. Quindi, alla domanda, con un sorriso di circostanza stiamo zitti, e voi non dite niente al Gianni Turrisi in carne e baffi, che vi guarda bello come solo un giovane comunista vi sa guardare da una foto del '69 in bianco e nero fuori, ma con abbastanza colore dentro da riempire due o tre tavolozze dei ricordi. Fra tante emozioni, tenta di riportarci sulla terra il commento continuo - quasi una traccia audio extra di un dvd della memoria, come quelle che incidono i grandi registi dopo una rimasterizzazione di qualche loro capolavoro - di un addetto ai lavori del tempo che fu, che passeggia come noi fra le fotografie. Uno che, delle vicende rappresentate, vorrebbe mostrare di saperne più di tutti i presenti sotto i quarant'anni messi insieme: "Quista è l'unica manifestazione in cui c'eravamo tutti".
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