31 luglio 2010

Paese che vai, Ilva che trovi

L'intervista che il vicepresidente del Gruppo industriale proprietario, fra le altre cosucce, dell'Ilva di Taranto, ha rilasciato al settimanale locale Wemag, è talmente epocale che potrebbe cambiare per sempre il volto di Taranto, o di Milano, o di entrambe città.
Fabio Riva è un uomo dal forte sospetto di toupè, eppure molto fiero in ogni occasione della sua folta cresta tricologica. L'immensa industriosità di quest'uomo e del gruppo - che porta il suo nome - che vice-rappresenta non ha pochi meriti. Uno dei principali, ad esempio, è quello di aver reso la popolazione suburbana, i bar finto milanesi e i negozi di abbigliamento femminile presenti in ogni città toccata da uno stabilimento Ilva, tutti identici fra loro. Tutti sovradimensionati rispetto alle esigenze dei mercati locali, e uguali. A partire dalle vetrine altissime e immensamente larghe, piene zeppe di manichini impunemente lontani dalla fisionomia locale, eppure fieri dei loro modelli di Balenciaga impossibili, costosissimi e, diciamocelo, anche un po' cafoncelli. Via D'Aquino ha delle sorelle sparse per tutta Italia, da Racconigi, a Novi Ligure, passando per Patrica, in provincia di Frosinone - forse la città Ilva meno pretenziosa, eppure comunque non scevra della sua buona dose di lounge di design, in cui consumare buffet alle 8 della sera, come se non si avesse altro che una caotica vita manageriale alle spalle. Sì, quello che accomuna tutte le orrende città italiane sede di stabilimenti Ilva è una cosa: la tendenza a una disperata, improbabile imitazione di Milano: chiunque abbia fatto almeno una passeggiata in almeno tre di questi luoghi lo sa perfettamente. E' qualcosa che rimane. Prendiamo l'esempio di Terni. Anche se da qualche tempo, grazie alle Acciaierie ThyssenKrupp, il centro umbro non è più dotato di Ilva, infatti, in certe sere d'estate, mentre un'allucinazione olfattiva suggerisce un profumo di cozze nere, un indebolimento momentaneo delle vista (dovuto certamente a qualche esalazione subita in fabbrica) sa restituire l'illusione che, dietro ogni angolo, possa esserci una Madunina a proteggere quegli operai elegantissimi, quasi sempre palestrati e lampadati. Ma questa è un'altra storia, e dovrà raccontarsi un'altra volta. Fatto sta che c'è un gemellaggio geneticamente modificato fra Taranto, Terni e queste città, dal punto di vista della moda e della ristorazione aperitivale, che non è secondo nemmeno al grande patrimonio comune di alterazioni reali dei tessuti organici e di chissà che altra aberrazione biologica condivisa, magari fornita dallo speciale tipo di inquinamento che solo un Ilva autentico può garantire alle popolazioni.
E' alla luce di questa realtà, se ci perdonate il lungo preambolo, che l'intervista di cui parliamo, che comparirà oggi nelle edicole tarantine, acquista il suo valore tutto particolare. Fabio Riva, milanese, ha rilasciato a Wemag una dichiarazione shock, dopo la quale nulla sarà più lo stesso. "Si sta peggio a Milano, dove io vivo, che è molto più inquinata di Taranto". Ora, come dicevamo, nulla sarà più lo stesso. Perso quel modello, Taranto potrebbe addirittura decidere di somigliare a Brindisi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questo ineffabile figuro, tra l'altro degno di tanto padre, rappresenta il tipico brianzolo tuttofare soldi,non badando ad altro. Poi si avventura in esternazioni talmente ridicole che non avrebbero nemmeno il segno di un commento. Se allora vive a milano ch'è più inquinata di Taranto, decida di venire a stare al quartiere Tamburi facendo così casa e lavoro tant'è vicino alla sua cara Ilva

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