21 settembre 2010

Alla prima di "Noi credevamo"

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Certi osservatori delle cose culturali salentine, e fra di essi alcuni dei più cauti diplomatici fra di essi, hanno temuto a lungo che non fosse domenica il momento più adatto di presentare in pompa magna un film antiborbonico come "Noi credevamo" (di Mario Martone, coproduzione italo-francese fra Rai Cinema, Rai Fiction e ARTE France), proprio nel nostro Salento. Perlomeno, non adesso che la créme dei neoborbonici di Terra d'Otranto è tornata finalmente alla ribalta mediatica, ammantata di rinnovata comunicabilità dietro lo scudo neofeudale, neoaraldico, e neobruttino del movimento intorno al Salento Regione; che queste illustri minoranze accarezza, coltiva, proietta.

Tuttavia, essi si sbagliavano. A parte che, in fondo, tanto antiborboniche queste tre ore e venti di film non sono affatto, tutto sottese come sono a mostrare, attraverso la filigrana del dolore e della sofferenza dei suoi protagonisti (tutti e tre affiliati alla Giovine Italia), le profonde divergenze di vedute fra i massimi patrioti italiani, nonché un bel po' di loro soprusi e vaghe nefandezze coi sottoposti.
Avrebbero dovuto esserci, due giorni fa, a Cavallino, quegli osservatori. Se solo il loro orgoglio di uomini di cultura non li tenesse regolarmente lontani da ogni evento culturale, per loro o altrui volontà, avrebbero capito immediatamente come lo charme delle star presenti, unitamente a quello del personale politicante accorso al teatro "il Ducale", sia l'espressione più alta di un certo gattopardismo cinesocioeconomico del Salento. Il quale, che piaccia o no ai gusti in fatto di prime edizioni e cozze gratinate dei suddetti nostri diplomatici, non solo può darci da mangiare (e, in qualche caso, pure da abbinare vini), ma ne potrebbe dare sempre più anche ai nostri figli, ai nostri nipoti e ai cloni dei nostri nipoti.

Il punto è che chi non riconosce che il Salento è un set naturale, tutto da agevolare e decantare - come il presente Oscar Iarussi, Presidente dell'Apulia Film Commission ben sa - di eventi come di film, e di eventi su film, forse, ahimé, non avrà la fortuna di rientrare in quel caro discorsetto del "perché tutto rimanga com'è".
Il cast del film, proiettato domenica in prima nazionale, è davvero quello delle grandissime occasioni. Accontenta quasi tutti: i critici superciliosi, le mogli superbe, le fidanzate supponenti. Per tutto il resto, c'è Luca Barbareschi, qui nel ruolo di Antonio Gallenga, patriota parmense. Si va da Luigi Lo Cascio a Valerio Binasco; passando per il sublime Toni Servillo (nel ruolo, udite udite, di Giuseppe Mazzini in persona) e la bella e brava Francesca Inaudi; fino a Luca Zingaretti, che presta il volto nientemeno che a Francesco Crispi. La pellicola, manco a dirlo, è di carattere storico-drammatico, e racconta alcune delle pagine più struggenti del risorgimento meridionale, che includono anche un commovente episodio sullo stesso Sigismondo Castromediamo (interpretato da Andea Renzi, attore di ozpetekiana memoria) originario proprio di Cavallino. L'enorme pellicola è tratta da un romanzo del 1967 della riscopribilissima Anna Banti (omonimo), adattata per l'occasione dalla penna di Giancarlo De Cataldo, pure presente alla prima. Non mancava neanche Edoardo Winspeare, quasi da confondere fra i politici della situazione, tanto è piccolo il ruolo che Mario Martone è riuscito a ritagliare al regista anglo-depressaro.

Antonio Gabellone, col suo immancabile assessore provinciale alla cultura Simona Manca, faceva sfoggio della sua solita educazione da politico non ancora professionista; mentre il sindaco di Cavallino, Michele Lombardi, e il relativo assessore alla Cultura Gaetano Gorgoni, com'è immaginabile, gongolavano senza sosta.

"Noi eravamo" sarà in alcune sale kamikaze (3 ore e venti sono 3 ore e venti) partire da novembre 2010, ed è dotato di interni ottocenteschi di un'eleganza mozzafiato, nonché di alcuni dei migliori costumi che ci sia dato scorgere in una produzione storica dai tempi, forse, dei Viceré di Roberto Faenza.
Fra tanti bravissimi attori e bellissimi personaggi, sempre con l'eccezione dell'odioso Barbereschi, spicca però su tutti l'accoppiata perfetta della strepitosa Francesca Inaudi nel ruolo di Cristina di Belgiojoso (giovane): solo lei, nemmeno lo stesso Zingaretti, sono stati in gradi di far produrre sorrisetti di compiacimento all'uditorio, per altri versi molto, troppo impegnato a sforzarsi di leggere i minuscoli sottotitoli delle parti in francese da lei recitate.

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