15 settembre 2010

Mignottocrazia


Un discorso sulla mignottocrazia italiana, come problema politico prima che morale, è stato recentemente sollevato da Nichi Vendola, in relazione a delle dichiarazioni di Paolo Guzzanti, che avrebbero causato attacchi di panico ovvero crisi d'ansia al nostro Presidente Regionale, mai come in questi giorni sensibile alla questione dell'etica professionale delle donne di potere nel Belpaese.
La storia di questo odioso termine, che però è molto realistico - se non rispetto alle condizioni in cui versa la politica italiana - almeno rispetto alla composizione della delegazione italiana del Gruppo del Partito Popolare Europeo a Strasburgo, nonché a quella di alcuni strategici gabinetti del Governo della nostra Repubblica, è presto detta. Era il 1998 quando Paolo Guzzanti coniò questa espressione, prendendosi giuoco di (o complimentandosi con, secondo le prospettive e le inclinazioni personali) Mara Carfagna, nominata Ministro per le Pari Opportunità nel maggio di quello stesso anno, in seguito a una non brillante carriera di modella, valletta e conduttrice televisiva; e, fra le altre cose, a una conversazione riguardo la persona del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui fa parte (la cui intercettazione telefonica fu resa pubblica solo nel luglio successivo) in cui si faceva riferimento a "prestazioni di natura sessuale e nella fattispecie un rapporto di sesso orale", da consumare preferibilmente con il suddetto premier. Fu lungimirante, allora, Gad Lerner a prendersi giuoco a sua volta di Guzzanti, mettendone in evidenza il tardivo, supposto antiberlusconismo di matrice scandalistica e moralistica. Noi, vogliamo ripartire proprio da questa sincera critica da sinistra a un politico falso e di destra, per dire due o tre cose sulla mignottocrazia italiana, e sul perché del fatto che, nella stessa accezione con cui si è affermata a livello nazionale, non può esistere a Lecce.
Innanzitutto, nella definizione di mignottocrazia stessa vi è un falso problema. La mignottocrazia non è altro che l'unica risposta possibile, nel nostro paese dello sberleffo e dell'aberrazione della norma, all'ipocrisia moderna del concetto di quote rosa. A quell'idea per cui le donne devono essere rispettate perché sono diverse. Di conseguenza, la mignottocrazia è l'unico modo in cui la femmina italica bella e non troppo stupida sta riuscendo a risollevarsi dall'omologazione in cui il postfemminismo l'aveva sepolta. L'unico modo grazie al quale le donne italiane che stanno contando qualcosa in politica possono essere diverse perché rispettate.
Uno sguardo alla nostra beneamata città di Lecce, vista per una volta con gli occhi del mignottologo, può essere occasione di ulteriore chiarimento,
I nostri compagni di colazione più smaliziati, se interpellati,
sosterrano che la mignottocrazia in senso stretto non abbia mai attecchito, nel Salento, più che altro perché da decenni ha saturato le possibilità del suo senso lato. In altre parole, escluse - per forza di cose - le mamme e le sorelle dei presenti, dalle parti nostre, mercanteggiare sentimenti, o simulazioni di essi più o meno accurate, più o meno realistiche, è talmente connaturato a noi stessi che, quando avviene alle nostre latitudini, non ce ne rendiamo neanche conto. Di più: non ci poniamo il problema della mignottocrazia locale non solo perché non esiste, ma anche perché è dappertutto. Il che, non è esattamente come affermare - e basta - che questa qualità dello spirito ci sia connaturata. Non è tanto nei pochi, sparuti casi di nepotismo coniugale - vedi: in politica - che la nostra specialissima mignottocrazia si annida. Bensì, nelle tante, troppe, "grandi donne dietro grandi uomini" che, puntualmente, tanto grandi non sono (almeno, in due o tre sensi). Il fatto è che le più realizzate fra le nostre mignottocrati non sono né giovani, né single, né aspirano a fare le veline, e neanche le velone, se è per questo. Le mignottocrati salentine hanno scelto altri terroir, altre temperature, altri obiettivi per la loro attività incessante e sottocutanea. E' per questo che non ci sono mignottocrati veramente fresche e bone, a Lecce. Ovvero, sono incandidabili anche per il più smaliziato dei capi di partito. Perché le vere mignotte non glielo permetterebbero mai, per candidare i loro figli e mariti.
E' proprio la crisi della storica classe dirigente italica delle "grandi donne dietro grandi uomini", a livello nazionale, che ha permesso il proliferare di mignottocrati in senso stretto, candidate improvvisate e malferme, scelte fra un provino e una sessione di casting, fra le fanciulle disponibili, dotate della migliore dizione, favella o altri sinonimi di oralità. Non è stata solo la crisi della classe politica.
Da professionisti della comunicazione quali siamo (almeno da altrettanto tempo rispetto a quando le mamme e le sorelle del nostro prossimo hanno cominciato il loro mestiere), noi leccesi non ammetteremmo mai dell'esistenza di questo sistema, che in gran parte ci governa, ci alimenta, ci tiene in vita. Infatti, questo articolo è un'anomalia spazio-temporale e Cleopatra non è mai esistita.


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