21 settembre 2010

Lo schifo al Conflitto Palmieri

In edicola con 20Centesimi

Tutto cominciò questo luglio, quando si aprì - con un bel successo di pubblico, al tempo stesso colto e popolaresco - la mostra dei due Caravaggio. La Provincia di Lecce, nella persona del suo raggiante assessore alla Cultura, Simona Manca, ambientò in quello che resta del convento di San Francesco della Scarpa l'enigma storico-artistico dell'attribuzione di due tavole che, per tutta l'estate, si sono guardate in cagnesco, da un lato all'altro della navata maggiore. La gente affluiva perfino di giorno, in pausa pranzo, per dire la sua su un problema cui neanche i massimi esperti del pittore lombardo - nè i più scaltri assicuratori laziali - sono riusciti a venire a capo. Cionondimeno si gridò al miracolo, perché i propilei neoclassici dell'ex Convitto Palmieri, costruiti intorno alla vecchia struttura francescana, da grigi e incolori che era stati per decenni - da quando i più deamicisiani dei leccesi anni '40 smisero di frequentarla come scuola - improvvisamente acquistarono nuova linfa vitale, insieme con una discreta dose di fumo passivo da cannabis, che del resto pare che non abbia mai fatto male ai talenti versati nel campo dell'arte. Complice un orario di apertura molto elastico (fino a dopocena il weekend), la piazza del Convitto cominciò, progressivamente, ad assumere le inusitate fattezze di un piccolo Campo de' Fiori salentino, in cui i meno "localari" dei locali si mischiavano con i meno turistici dei turisti di passaggio; giovani avvocati di centrosinistra trasportavano lì chitarra ed amplificatori, e si esibivano in improvvisazioni che tutti gradivano e molti ballavano; i baristi dei paraggi esultavano all'idea che non fosse più necessario affogare nelle proprie stesse birre lager da un euro i tanti dispiaceri di interi sabati sera trascorsi a contare i cocktail da 8 euro per cui il bel mondo faceva la fila, cinquanta metri più in là, al Cagliostro.
Oggi, e siamo solo al 22 si settembre, è un compito particolarmente ingrato, ma è anche un dovere degli osservatori del costume della società, giocare a trovare le differenze fra questa armonica età dell'oro del rinnovato Convitto, e lo spettacolo che è possibile vederne rappresentato, distanza di poco più di due mesi da questo inatteso exploit.
Gli scalini al di sotto delle colonne in pietra, poco ci manca che non producano cascatelle di urina mista cane-padrone. A luglio erano la platea naturale di quello che accadeva al centro; ora non sono altro che un enorme vespasiano interraziale, coronato al centro da un Giosuè Carducci che non ha conosciuto "Odi barbare" peggiori. Lo spazio un tempo occupato da giovani tedesche, corse a Lecce per imparare la pizzica e due tre altri trucchi, ora è una distesa di fattone che neanche il loro cane personale riesce a tenere al guinzaglio.
Chi, solo, prolifera indisturbato sono i piccoli e medi pusher e il baretto dei pressi, di cui sopra, un tempo noto solo per le birre da un euro. Ora, che ha diversificato, offre anche i mojito da 3 euro, tremendamente con limone al posto del lime. Qua e là un focolaio di rissa viene sedato solo per la tempestività di una corsa al gabinetto che, per fortuna, dista pochissimo dal luogo dello scontro appena scampato.
Il resto è la rappresentazione più grafica possibile dei conflitti di responsabilità della politica che, invece di reinstallare altrove questo "tableau vivant" di rifiuti, fa solo scarica barile (ancora pare che Comune e Provincia dibattano l'attribuzione, non più di dipinti secenteschi, ma dei rigagnoli marroncini che passano per questo o quel tratto di marciapiede.
Non vogliamo e non dobbiamo pensare che piazzetta Carducci potesse essere preferibile quando era il parcheggio selvaggio per le Audi rateizzate dei fighetti notturni. Ma ho visto coi miei occhi ex membri di autentici collettivi studenteschi a sinistra della sinistra generare le prime espressioni di qualcosa che avevo mai visto, e non avrei mai voluto vedere nei loro sguardi, di norma carichi di odio solo per i napoletani ricchi o Laura Pausini: il germe della prima intolleranza. C'è sempre la prima volta, per tutto. Eppure speriamo che presto possa essere chiudersi l'ultimo sipario davanti a una corte dei miracoli che i nostri miracolati della politica - nessuno escluso - non possono fare durare ancora a lungo. A meno che davvero non vogliano che avvenga l'irreparabile: un punkabbestia da due generazioni (di cani) che davvero chiami la Polizia.

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