4 ottobre 2010

Discorso fu "Leffico Famigliare"

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Tradizionalmente, due cose sanno fare bene gli italiani di sinistra, quando non godono di particolari immunità parlamentari, né di piccoli grandi imperi editoriali: fare satira sulla destra e fare satira su se stessi. Cioè: su quel che di buono resta della sinistra italiana. E' a questi italici eredi di Sileno e di Marsia che dobbiamo le poche risate che riusciamo a strappare al nostro cuore, di questi tempi difficili: non scordiamolo mai. Dio solo sa se esisteranno mai dei satiri italiani di destra; e se la definizione stessa di satiro potrà mai essere compatibile con una sola delle caratteristiche (o delle lacune) culturali, linguistiche, comportamentali della parte del nostro "Popolo" che propende per le "Libertà". E chissà se questa incapacità congenita di fare satira sia più uno dei limiti del Pdl nella corsa all'onnipotenza, o più uno dei motivi del suo "relativo" successo.

In ogni caso, resta da augurarsi, visti i brillanti risultati ottenuti, che lo stesso Dio non voglia mai che l'ingegno o il pane abbandonino mai i nostri satiri di sinistra - neppure nel momento della primaria più dolorosa, neppure al termine della diatriba a Ballarò più stravinta. Neppure, ci sia consentito dire, davanti al successo e alle ulteriori prospettive di un politico di sinistra vincente come Nichi Vendola è sempre stato. Nel caso di Vendola, la satira è sempre stata divisa. Chiunque è in grado di satirizzare, almeno col pensiero, un politico semplicemente brillante ma distante, aulico come è stato Massimo D'Alema. Molti sanno concepire sfottò sui temi sacri a Romano Prodi e alla bolognesità che ha rappresentato, accademica del sapere quanto del gusto, lenta ma inesorabile nel fornire le sue chiavi di lettura del mondo (se ce ne sono). Ma pochi, tranne giusto il geniale Checco Zalone dei primordi televisivi (su TeleNorba, e parliamo di ere politiche fa), sono riusciti a satireggiare efficacemente sul nostro attuale bimandatario governatore regionale. Fino ad ora.

Il perché di questo è molto semplice. Vendola, nonostante il suo enorme acume dialettico e la sua miracolosa capacità di raccogliere consensi, è sempre stato troppo apparentemente "debole" per essere oggetto di una satira davvero divertente. Ha troppi difetti di pronuncia, troppi tic verbali e stilistici, troppe anomalie politiche per poter essere colpito da un comico senza dare l'impressione - bene che andasse - di fare battute troppo facili o di sparare sulla Croce Fucsia.

Con il secondo successo alla regionali le cose hanno cominciato a cambiare. Ma era bastato l'annuncio della sua ricandidatura a far sì che programmi televisivi satirici di primo piano nazionale (vedi Maurizio Crozza) prendessero la dialettica vendoliana e la sottoponessero finalmente al vaglio dell'unico modo di fare critica e, al tempo stesso, di esprimere stima che i satiri conoscono: coglionare. Senza che detta dialettica, naturalmente, non solo non ne uscisse particolarmente intaccata, ma anzi fosse rafforzata nella sua straordinaria iconicità.

Quello che ha stravolto tutto è stato l'annuncio di Vendola a scendere in campo come possibile candidato premier alla prossime politiche. Ora non più solo i capocomici delle emittenti televisive libere, ma anche i più umili guitti di YouTube hanno cominciato a prendere di mira - con più o meno seguito, con più o meno bravura - l'eloquio vendoliano: sempre troppo forbito, troppo ansioso di essere apprezzato (come un scolaro bravissimo alle interrogazione, ma tanto desideroso di essere apprezzato anche a tavola, dai familiari). Ancora una volta, ma più di tutte le altre volte, questa satirizzazione ha significato, da una parte, visibilità; dall'altra, anche un certo minimo risentimento (soprattutto dei piccoli, soprattutto dei pugliesi, soprattutto dei puri) davanti al cambio di rotta dei progetti di Vendola per il suo futuro.

Chi è riuscito a mettere insieme tutte queste osservazioni e critiche più o meno velate meglio di tutti gli altri satiri è stato Paolo Cosseddu (popolino.splinder.com), uno strano sardo che, pare, risieda nientemeno che a Biella. Il suo blog - "Popolino", che riproduce il font del più famoso settimanale a fumetti per ragazzi - ospita da qualche giorno un post dedicato proprio a Vendola, dal titolo: "Leffico famigliare". Il tono è quello di un dialogo filosofico che ha per protagonisti Nichi, Fratello, Madre e Padre. Il pezzo fa centro perché descrive le difficoltà di Nichi bambino ad ottenere attenzioni e pietanze calde finanche da una madre che lo partorì "nel gelido addiaccio di una notte illuminata da una ftella folitaria"; mentre il fratello, più sintetico ed essenziale nel formulare le sue richieste, riesce a spuntarla su tutto. Dove fa ancora più centro, però, è nella componenete cattocomunistica del tutto: da quella "ftella", infatti, parte un discorso cristologico che culmina nell'immancabile "Chi fa la fpia non è figlio di Maria, non è figlio di Gefù e quando muore va laggiù" - "Laggiù dove?" - " A Brindifi".

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