31 ottobre 2010

Piccola fenomenologia del cazzaro teatrale salentino

In edicola con 20Centesimi

Pochi programmi cartacei di una serata musicale sono stati cari al povero cronista culturale come quello fortunatamente elargito al pubblico di “Ulysse dans le vagues” e “Anemos - Musiche dal mito”, giovedì, al Teatro Paisiello di Lecce. Abbiamo visto coi nostri occhi più e più serate salentine musicalmente impegnate. La nonchalance con cui il pubblico medio - che, di norma, a occasioni come queste viene trascinato per ricatto sessuale o per un errore nella prenotazione - reagisce al concetto stesso di “programma” della serata con orrore e raccapriccio. “Perché dovrei leggere su carta, e per giunta al buio, una descrizione il più possibile accurata e dettagliata della rottura di palle che sono costretto a sorbirmi?” - sembrano dire gli occhi disperati di tanti uomini di mezza età perfettamente vestiti, che scambiano con un po’ troppa disinvoltura la chiara possibilità di fare luce sulla serata che li aspetta (con annessa la possibilità di distrarsi legittimamente dalla stessa) con un raddoppiamento di qualcosa che è già tanto forzoso e poco entusiasmante. Una ridondanza della rottura di palle, insomma.
Non poteva purtroppo essere così per i tanti non addetti ai lavori pervenuti, loro malgrado, alla serata di ieri. Fortemente voluta dal Dipartimento di Filologia Classica e di Scienze Filosofiche dell’Università del Salento, che aveva messo a disposizione i suoi maggiori talenti francofoni, la proposta musicale del Coro Polifonico della stessa Università, in un certo senso, obbligava alla lettura matta e disperata di quei programmi, dettagliatissimi, curati per il IV Congresso Internazionale della “International Society for the study of Greek and Roman Music and its cultural heritage”. Dei veri e propri libretti: per giunta, in sole due lingue: greco antico a fronte e francese moderno ma non troppo. Sono bastati pochi minuti di recita perché l’immersione pressoché totale in quei testi passasse da semplice diversivo a unico modo per sopravvivere. Che quelle pagine fossero ovviamente incomprensibili, tanto nella versione originale greca, quanto in quella francese, non rendeva l’istinto di leggere meno necessario per le menti della platea e dei palchetti. Il fatto è questo. Giovedì non era soltanto una questione di difficoltà pura, come solo la traduzione francese di un agone aedico e monodico greco può esserlo(accompagnata con krar, flauto e qanoun, per giunta).
Il pubblico diviso a metà, quasi tranciato di netto, fra totalmente casuali e/o cazzari e totalmente secchioni, non rendeva possibile, nella pratica, alcuna delle tipiche attività che, in serate come questa, aiutano metà del pubblico ad ammazzare il tempo, o ad ammazzare l’altra metà, cioè le mogli professanti melomania che ce lo ha condotto. Mai si era vista a Lecce una simile quantità di “tecnici” della musica in platea. L’ansia da prestazione, già altissima prima ancora di prendere posto, è schizzata fino al livello degli affreschi tardo-settecenteschi dello splendido soffitto del teatro, non appena i “tecnici” hanno cominciato a parlare fra loro del programma. I termini come “parodo” e “si bemolle” si sprecavano; mentre addirittura i nomi di battesimo dei tenori del coro serpeggiavano, seminando il panico totale a partire dalle terze e quarte file. Una volta iniziato lo spettacolo, non è volata una mosca. Ma neanche nel buio indistinto dei palchetti, normalmente il regno incontrastato della distrazione e degli smartphone selvaggi, la situazione era di molto migliore. I secchioni più inclini a salire le scale avevano già preso posto in palchetti già occupati da cazzari. I quali, essendo cazzari, erano anche convinti di poter pretendere tutto per sé e la propria compagna melomane un palco intero. I secchioni, essendo secchioni, e sapendo perfettamente di trovarsi di fronte a una serata gratuita e imprenotabile, pretendevano giustamente di fare irruzione in uno di quei palchi solo semipieni.
La situazione salvava, in pratica, solo una categoria: gli ignoranti musicali abbastanza distinti e abbastanza ben vestiti da poter sembrare dei melomani a loro volta. I più cazzari di tutti. Ogni altra categoria, compreso il sottoscritto, è ancora sospesa in un limbo di erre mosce, suoni flautati e occhiatacce. Non mi ero mai sentito così inadeguato a una recita in francese accompagnata da qanoun in vita mia.

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