22 ottobre 2010

Perché Uccio Aloisi è stato importante

In edicola con 20Centesimi

Poche figure come quella di Uccio Aloisi rendono evidente il distacco che c'è fra quello che era la musica popolare salentina prima che avesse successo (etnomusicologicamente parlando, come direbbe il ghost writer di Massimo Alfarano) e la sua fusion incessante con tutto e il contrario di tutto. Ovvero, con quello che passa per la musica popolare salentina, ora che pare abbia successo.
Parlavamo proprio ieri di profumiere, in campo sessual-sentimentale, riferendoci ad esse come alle donne più infide possibili: quelle che vivono rapporti con gli uomini in forza della loro profumazione, e mai in funzione della loro essenza. Accenni di consensualità, forme di sensualità, vedere: quanto volete. Concludere, realizzare, toccare: neanche per sogno. In un mondo in cui le donne profumiere sono al potere o stanno per prenderlo definitivamente, mentre neanche ce ne rendiamo conto, non poteva che capitarci un'estetica della musica folk in cui gli accostamenti contano più delle identità; gli arrangiamenti più dei testi (che sono praticamente sempre gli stessi, svuotati come il vaso di terriccio di una piantina dimenticata); i gruppi più dei solisti, e via discorrendo, pizzicando e tarantando.

Per carità, da sempre un grande momento di espressione nelle arti ha dovuto essere contaminato e sminuzzato (vedi il manierismo in architettura o in pittura, dopo la prima stagione del Rinascimento), per poter essere isolato e finalmente compreso, una volta, però, morto. Ma qui non stiamo parlando, con tutto il dovuto rispetto, di grande pittura ad affresco da cappella papale; bensì di bozzetti di vita quotidiana sublimati, per qualche minuto di canto, in un'oralità intima e straziante. Massimo rispetto per tutti i concertoni della Notte della Taranta presenti, passati e addivenire. Serate frutto di selezioni ardite e prestigiose, fonte di divertimenti i cui ricordi durano vite e, in qualche caso, ne producono di nuove. Resta il fatto però che fra tutti quei musici polistrumentisti di chissà dove e di chissà come, fino a qualche ora fa, solo uno non suonava che un unico strumento. Questo era Aloisi. La cosa, invece di sembrarci un limite, ci sembrava una grande occasione. Il fatto che poi quello strumento unico e irripetibile fosse la sua anima irrimediabilmente bruciata dalla fatica, e indissolubilmente unita a qualunque altro elemento con cui la volesse o dovesse accompagnarla - che fosse un tamburello del '700 prestato da un museo, ma percosso da una mano callosa e ferita; o un'intera formazione di grido come come i Buena Vista Social Club, quasi ignorati dal maestro in una indimenticabile serata - non faceva che aumentare il nostro stupore, di trovarci un simile ulivo (come giustamente lo ha definito Massimo Bray) in una selva di tanti rampicanti.
Così, è quantomeno strano che i giornali locali debbano celebrare in Uccio Aloisi il cantore del tarantismo solo perché ha effettivamente partecipato e mattato - a suo modo schivo e quasi dissacratorio - diversi concertoni melpignanesi. In realtà, non c'è niente di più meno tarantato dell'essenza di Uccio Aloisi: autore di un canto popolare talmente autobiografico che non ammette cover, e talmente universale che può essere anche solo salentino, senza alcun bisogno di contaminazioni e fusion, per essere valorizzato. Un canto che sgorga da un'esperienza di lavoro faticosa e anacronistica è fatto così: o lo fa uno del 1928 o il resto sono pizzicarelle.

L'estetica dell'Aloisi al pieno delle sue possibilità è brutale, fatta com'è di testi che prendono forma come arnesi di "fatia", che si affilano solo dove serve che taglino, senza nulla concedere alla forma, e dunque alla melodia. Un'estetica così solo un modo conosceva di essere se stessa, quando veniva accostata a "tutto il resto": andare il più possibile fuori tempo. Non a caso, il canto del cigno di questo stornellatore rude ma funzionale come un muretto a secco, eppure generoso come una fontanella di piazza - è stato quest'estate. E' stato l'aver suonato lo stesso, anche se avrebbe dovuto restare dietro le quinte, seguendo i consigli dei medici. Si è fatto issare a spalla sul palco fra gli applausi che a un certo punto sono quasi venuti meno, perché le mani di parecchie signore avevano cominciato ad essere seriamente impegnate a tergere lacrime. L'ultimo modo sostenibile di andare fuori tempo.
Aloisi condivideva la sua esperienza di vita autentica con qualunque pubblico, senza guardare in faccia neanche alle prime file di ognuna delle migliaia di serate che avrà fatto nella sua carriera non sfolgorante, ma molto luminosa.

1 commento:

Torquemgd ha detto...

Mi trovo sempre abbastanza d'accordo con quello che scrivi sul blog, ma questa volta ho l'impressione di vedere finalmente nero su bianco (rectius, grigino su grigio) quello che ho sempre pensato. Bravo!

Carlo M Petracca

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